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 2022  luglio 17 Domenica calendario

I 12 Paesi che rischiano il default

L’aumento dei tassi di interesse e il rafforzamento del dollaro sui mercati valutari hanno fatto e stanno facendo strage dei debiti pubblici di una ventina di Paesi. A pesare è l’aumento delle uscite per importare energia e alimenti, ma anche l’avversione al rischio degli investitori internazionali che causa lo squeeze out, la fuga dei capitali dai Paesi ritenuti a rischio e il loro trasferimento nei cosiddetti safe haven, i “porti sicuri” dove attendere che finiscano le tensioni finanziarie e la recessione globale che molti vedono alle porte. Dai calcoli degli analisti, ripresi dall’agenzia Reuters e dal Financial Times, emerge che i debiti pubblici a rischio raggiungono in totale i 400 miliardi di dollari. L’aumento degli interessi da pagare e dei capitali da rimborsare è ormai insostenibile per molte nazioni piccole e grandi, ricche o in via di sviluppo. Cinque sono andate in default negli ultimi mesi. Tra queste la maggiore è la Russia, finita in fallimento non dall’impossibilità o dalla volontà di non pagare il suo debito estero in dollari, ma dalle sanzioni internazionali per la guerra scatenata contro l’Ucraina che hanno reso tecnicamente infattibile pagare il dovuto. Ma un’altra dozzina di nazioni è sull’orlo del collasso. Tutti insieme questi Stati hanno oltre un miliardo e 55 milioni di abitanti, che stanno già subendo o sono a rischio di pesantissime ricadute.
Come indicatori dello stato di salute del debito dei Paesi, gli analisti guardano l’andamento dei prezzi dei titoli pubblici e lo spread, il differenziale, dei loro rendimenti verso quelli di pari durata di Stati più solvibili. Un altro indicatore è il prezzo dei credit default swap (Cds), i derivati di copertura che funzionano come “polizze di assicurazione” contro l’insolvenza: più il rischio di crac è elevato maggiore è la rata della “polizza” da pagare per assicurarsi dai default con i Cds. Un ulteriore indicatore è la velocità con la quale le riserve di valute pregiate di questi Stati sono bruciate per sostenere le valute nazionali e per rimborsare i propri debiti. L’incrocio di questi segnali individua una dozzina di nazioni in grossa difficoltà.
Dopo i default che hanno già affossato Libano, Suriname, Zambia e Sri Lanka, dopo il crac “tecnico” della Russia, a rischiare sono due Stati europei. Innanzitutto l’Ucraina, in ginocchio per l’invasione russa che ha fatto perdere oltre un terzo del Pil e rende insostenibile il debito pubblico da oltre 20 miliardi di dollari, con la necessità di aiuti esteri schizzata in pochi giorni da 5 a 9 miliardi di dollari al mese. A settembre Kiev dovrà rimborsare 1,2 miliardi di dollari. Questa settimana il colosso ucraino Naftogaz ha chiesto un congelamento del debito per due anni. Ma anche la confinante e filorussa Bielorussia è sul baratro.
In Centro e Sud America l’elenco si allunga con l’Argentina, che ha un debito di oltre 150 miliardi di dollari (e una lunga storia di default, come sanno bene molti italiani rimasti “scottati”), con il peso in caduta libera, riserve quasi terminate e titoli pubblici scambiati a soli 20 centesimi per dollaro, ma c’è anche l’Ecuador (40 miliardi di dollari di debito) ed El Salvador, che ha scommesso sul bitcoin come valuta a corso legale ma ha titoli scambiati al 30%.
Il continente messo peggio è l’Africa: qui il rischio di crac riguarda la Tunisia, con lo spread a oltre 2.800 punti base; il Ghana, la cui valuta, il cedi, quest’anno ha perso un quarto del suo valore; l’Egitto, con un rapporto debito/Pil vicino al 95% e con la fuga di capitali in corso per almeno 11 miliardi di dollari. Poi c’è il Kenya, che spende il 30% delle entrate solo per pagare gli interessi, con bond che hanno perso quasi la metà del loro valore, ma anche l’Etiopia, con la guerra civile in corso, e la Nigeria, con spread di poco superiore ai mille punti base. L’elenco si chiude in Asia con il Pakistan, che ha appena raggiunto un accordo cruciale con il Fondo monetario internazionale mentre le riserve di valuta estera sono scese ad appena 9,8 miliardi di dollari, appena sufficienti per cinque settimane di importazioni e la rupia ai minimi storici.
Molti sperano nella possibilità che, paradossalmente, le tensioni internazionali aiutino a sventare almeno alcune crisi. La Cina osserva con attenzione molti Stati sull’orlo del crac o già oltre, come lo Sri Lanka, per “salvarli” con prestiti che li leghino a Pechino. C’è così chi ritiene che i salvataggi organizzati dal Fondo monetario internazionale possano diventare più rapidi per “trattenere” nel campo occidentale almeno alcuni di questi Paesi.