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 2022  luglio 16 Sabato calendario

Autobiografia di Liana Orfei

Orfei. Basta la parola per pensare al circo, per evocare immagini di leoni, elefanti, cavallerizzi, clown, acrobati, giocolieri. Quando poi davanti al cognome Orfei si mette il nome Liana, il gioco è fatto: si parla della donna che è stata sinonimo di “circo” a livello mondiale, non certo solo italiano. Se si potesse fare un sondaggio retroattivo, si scoprirebbe probabilmente che la popolarità di Liana Orfei non è mai venuta meno, dai tempi del glorioso circo a tre piste con i fratelli Nando & Rinaldo ai film degli anni 60 (peplum, avventurosi, cappa & spada) che la resero uno dei simboli sexy del cinema di quell’epoca. La recente pubblicazione di una bellissima autobiografia scritta in terza persona, Romanzo di vita vera (Baldini+Castoldi), ha permesso a tutti i lettori di ricordarsi che Liana non è stata solo “il circo”: questa donna nata a San Giovanni in Persiceto nel 1937 ha fatto teatro con Eduardo e con Gino Landi, ha fatto tv con Antonello Falqui, è stata amica di Fellini, ha inciso dischi vincendo un Festivalbar. E oggi si gode un’allegra terza età inseparabile dal marito Paolo Pristipino, un importante manager teatrale che la accompagna ovunque e la osserva silenzioso, con uno sguardo talmente amorevole da diventare persino ironico. Perché Liana è veramente “larger than life”, e ha una vivacità e una simpatia travolgenti che la fanno essere al centro di ogni situazione.Avendola incontrata varie volte, per presentare il suo libro e assegnarle a Fiano Romano un meritatissimo Premio Giuseppe De Santis alla carriera,vogliamo darle la parola persentire qualcuno dei suoi strepitosiracconti.Io e Mo(i)ra, cugine fortunateA quattro anni, a guerra appena iniziata, ho rischiato di morire. Un dottore ignorante mi aveva diagnosticato il tifo, per fortuna un altro dottore dal nome beneaugurante, Fortunato, capì che avevo la polmonite e convinse mia mamma a “rubarmi” dall’ospedale dove ero ricoverata. Ci nascondemmo in una pensioncina di Bologna dove il dottor Fortunato ci portò lo Streptosil, l’ultimo ritrovato per la polmonite. Guarii, ma dovetti stare a letto per due anni, con mio fratello Nando – tre anni più di me – che mi stava vicino e mi raccontava storie mirabolanti perché non mi annoiassi. Ho recuperato quegli anni di immobilità non fermandomi mai più, e imparando tutto quello che c’era da imparare nel circo: il trapezio, i cavalli… io sapevo fare tutto, e come capita a quelli che sanno fare tutto, non facevo nulla davvero a livelli di eccellenza. Ma sono stata, credo, una grande impresaria e una brava creatrice di “numeri”. Dopo la guerra, mia mamma Alba andò a salvare i figli di zio Riccardo, il fratellodi mio padre, Paride Orfei: Riccardo era uscito dalla famiglia e aveva fondato un circo suo, ma era morto giovane, e Alba scoprì che i suoi tre figli – Mora, Paolo e Mauro – facevano la fame. Offrì alla vedova di Riccardo di portarli con sé. Mora aveva quattro anni più di me, fu ribattezzata Moira e siamo cresciute insieme, formando – in due – una banda della quale eravamo gelosissime.I leoni francesidi zio OrlandoNel dopoguerra pochissimi circhi potevano mantenere animali feroci. Ma noi avevamo “noleggiato” un numero di leoni da un circo francese, con tanto di domatore. Alla fine della tournée trovammo i soldi per comprarli, ma il domatore (francese anche lui) non volle rimanere con noi: sosteneva che in Italia “si mangiava male”! Per cui, avevamo i leoni ma non avevamo il domatore. Mio zio Orlando, fratello di papà, disse: «Che problema c’è? Lo faccio io».Ma se non hai mai visto un leone, gli dicemmo. «Ma no, sono come dei grossi gatti». Entrò nella gabbia, fece il numero e nel giro di poco tempo divenne uno dei più grandi domatori del mondo.L’incontro con FelliniFellini veniva spesso a vederci, e un giorno si presentò da noi un suo talent-scout, Pippo Fortini, dicendomi che Fellini mi voleva incontrare. Lo cacciai via in malo modo. Noi del circo avevamo una pessima opinione del mondo del cinema. Qualche giorno dopo si presentò Federico in persona, e io mi vergognavo come una ladra della figuraccia che avevo fatto. Cercava volti nuovi per unfilm, mi fece un provino, mi disse che ero troppo solare e tenera per il ruolo che aveva in mente… Il film eraLa dolce vita, e devo smentire tutti i siti e le filmografie che affermano che io abbia un ruolo, per quanto non accreditata, in quel film: no!, non ci sono nella Dolce vita, ahimè! Ma bastò l’interesse di Fellini per una ragazza del circo perché arrivassero proposte di servizi fotografici e, ben presto, contratti per dei film. Ne ho fatti una quarantina, lavorando con Orson Welles inI tartari, con Totò inSignori si nasce, e con registi del calibro di Dino Risi, Mario Monicelli, Antonio Pietrangeli, Ettore Scola. Fellini è rimasto un grande amico. Quando eravamo a Roma con il circo, veniva la mattina presto ai nostri carrozzoni, portandoci la colazione… lui e Giulietta Masina hanno passato tanti Natali con noi. Eravamo la sua vera famiglia. Mio fratello Nando, lui sì, ha fatto una parte importante inAmarcord: lo zio fascista, quello che tenta di raggiungere il Rex a nuoto…A lezioni di lingua napoletanaEduardo mi scelse per una parte inTommaso d’Amalfi, un musical su Masaniello. Gli ricordai che ero bolognese e lui mi disse: «Le insegnerò io il napoletano». Due settimane prima del debutto al Sistina, mi beccai un’infiammazione alle corde vocali. Ero completamente afona. Domenico Modugno, che era il produttore, voleva sostituirmi, ma Eduardo tenne duro e mi aspettò. Purtroppo lo spettacolo non fu un successo.Un’amicizia inaspettataFra i tanti amici che venivano da noi a cena, dove cucinavo io, e dove sono venuti tutti, da Nureyev a Tina Turner, c’era spesso Enrico Berlinguer. Ci volevamo molto bene. E fu lui ad aiutarmi a organizzare un viaggio di lavoro in Corea del Nord, nei primi anni 80. Si favoleggiava che in quel Paese ci fossero i migliori acrobati del mondo, ed era vero! Li portammo al Tendastrisce di Roma, nel 1982, e fu un successone.