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 2022  luglio 16 Sabato calendario

Il massacro di Tulsa

La serie televisiva americana Watchmen,
una tra le più pop mai prodotte, si apre con uno dei protagonisti che ricorda di aver assistito, da bambino, a un massacro della sua gente, avvenuto nella città di Tulsa, in Oklahoma. La storia, ispirata a un fumetto, prende poi una piega fantascientifica, tra guardiani mascherati e un superumano blu. Molti avranno pensato che anche la strage di Tulsa sia un’invenzione. Tra quelli che non hanno visto la serie i più non ne hanno mai sentito parlare. “Dimenticata” la definisce Scott Ellsworth nel sottotitolo di Morte nella Terra promessa.
Eppure realmente accaduta, in 24 ore, fra il 31 maggio e l’ 1 giugno del 1921. Ore in cui una parte della città, quella abitata dalla comunità afroamericana, venne messa a ferro e fuoco. Dopodiché accese i motori la macchina della rimozione. Perché la vita potesse continuare, non soltanto a Tulsa, o in Oklahoma, ma in tutta l’America. Perché non seguissero né vergogna, né espiazione, ma soprattutto vendetta. Un secolo dopo restano incerti il numero delle vittime e la spartizione delle responsabilità. Il testo di Ellsworth è un lodevole tentativo di fare luce tramite documenti e testimonianze. Risulta credibile perché non fa sconti, a nessuna delle parti in causa. Chiama alla sbarra numerosi correi, ma non per questo evita di assegnare a qualcuno di questi l’imputazione prevalente.
Per capire che cosa avvenne quel giorno a Tulsa ci porta in una condizione spazio- temporale precisa, il cosiddetto contesto, che spiega quell’esplosione. Non fu uno tsunami in un mare calmo, ma l’onda più alta di una serie che andavano infrangendosi a riva. L’America già altrove e in precedenza aveva conosciuto episodi di persecuzione razziale. Tulsa ne sarebbe diventata l’epicentro. La città era prospera, arricchita dalla scoperta del petrolio. La parte di comunità afroamericana che non viveva a servizio dei datori di lavoro si era installata in un suo quartiere, Greenwood, e l’aveva “gentrificato”.
Quando il benessere fu scalfito dalla recessione su questa terra germinò il seme della violenza, inizialmente generica. Il fortissimo Ku Klux Klan locale se la prese con qualsiasi minoranza: ebrei, cattolici, immigrati, trasgressori della morale comune. Il primo episodio organizzato di giustizia privata ebbe per vittime 17 bianchi presunti aderenti a un’organizzazione socialista. Bianco anche il primo impiccato senza processo. A scatenare ilmassacro del 31 maggio però fu un atto attribuito a un giovane afroamericano, di cui si disse che aveva tentato di violentare una ragazza bianca in ascensore. La vicenda non fu mai provata. Non ce ne fu il tempo. Perché allora si diffuse la certezza che fosse accaduta? Ellsworth indaga e trova un colpevole.
La storiografia ricerca nello studio di ogni evento il cosiddetto “punto di ebollizione”, oltre il quale il suo svolgersi diventa inarrestabile. A scaldare il fuoco avevano concorso vari fattori: il potere degli incappucciati, la dottrina della ferma autodifesa propugnata da molti afroamericani che non esitarono a impugnare le armi, la tensione sociale, la diffusa illegalità. Il casus belli fu la presunta aggressione in ascensore, ma ancor più del fatto in sé la versione che ne diede il quotidiano locale, il Tulsa Tribune.
Non a caso l’edizione del 31 maggio è sparita dagli archivi. Nella trasposizione in microfilm la prima pagina risulta strappata. Fonti orali ricordano il titolo di un editoriale che annunciava: “Stanotte si lincia il negro”.
Poi è vero che decine di afroamericani armati si presentarono davanti alla prigione e non sfollarono quando arrivarono ad affrontarli centinaia di bianchi ugualmente armati, ma la micciaera già accesa. La polizia non fece niente per sedare gli animi, ostacolare chi voleva la carneficina e la ebbe. Perfino il numero dei morti è incerto, va da 39 a 175 e oltre. Si cercò di mistificare la rilevanza delle vittime afroamericane, molte delle quali arse vive e non conteggiate per assenza di cadavere. Distruzione e danni economici ricaddero quasi esclusivamente su Greenwood.
Scrive Ellsworth che «fa parte della natura umana, individuale di gruppo o di comunità creare un passato con il quale possiamo convivere. Se la realtà della nostra storia pone interrogativi sulla nostra vita attuale troppo penosi o sinistri da sopportare plasmiamo il passato secondo una cronaca meno temibile o lo sopprimiamo». Questo è accaduto a Tulsa dopo il 1921. La storia è stata riscritta in modi diversi e poi, risultando comunque di difficile accettazione, rimossa. Tale fu lo spavento per le possibili conseguenze di quella strage che poi in tutta America le violenze si placarono. Greenwood risorse poi decadde. Oggi rimane, secondo Ellsworth «un monumento all’umana resilienza». Sotto quel monumento il suo libro è una lunga iscrizione per spiegare che cosa accadde e per non dimenticarlo più. Non fu un fumetto.