il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2022
Intervista a Susanna Camusso. Parla dell’inflazione
Le disuguaglianze “che crescono”. Le politiche fiscali “che sono più benevole con chi possiede molto rispetto a chi ha poco”. Un Pnrr in cui il tema del lavoro “appare solo in modo marginale”. Poi l’idea che “la crescita sia data solo dal posizionamento delle imprese e dall’andamento generale dell’economia: chi la pensa così vede solo una parte del problema”. Per Susanna Camusso, ex leader della Cgil, oggi responsabile alle politiche di genere, ciò che manca davvero “è una idea sociale del Paese”.
Camusso, la corsa dell’inflazione non si ferma, siamo già all’8,2%.
E la corsa non si fermerà: è evidente che la spirale non è ancora giunta al suo massimo. A dispetto di chi fa previsioni ottimistiche, verranno presto a galla tutte le incertezze. Tra pandemia, guerra, precarietà, ci sono tutte le condizioni perché le persone siano spaventate. Questo incide sul quotidiano e pure sulle aspettative.
Ci aspetta un autunno di tensioni sociali?
Anche se non vediamo ancora manifestazioni e cortei credo che siamo già di fronte a forti tensioni, perché la condizione sociale è peggiorata. L’inflazione ha sempre un impatto sulle disuguaglianze: le aumenta. Specie ora che la corsa dei prezzi riguarda i prodotti alimentari e l’energia, con i primi effetti di deprivazione. Recenti studi mostrano già una contrazione dei consumi del 2%, un dato che mi ha colpita. E con l’alto tasso di precarietà avremo tante persone con forti incertezze legate al reddito e al lavoro.
Contro il caro-energia il governo ha approvato il bonus di 200 euro.
È utile come tutte le operazioni di restituzione di reddito, ma è del tutto insufficiente. Se facciamo i conti dei rincari dell’energia vediamo che l’impennata dei prezzi di luce e gas equivale, per chi ha un reddito di 20 mila euro l’anno, alla perdita di un mese di retribuzione.
Si doveva fare di più?
Si sono sovrapposte più crisi, ma si sono innestate sulla debolezza data dalla precarietà del lavoro, dal disinvestimento sui servizi. Tutta colpa del governo? Evidentemente no. Ma, dopo l’incontro di Draghi con i sindacati, non posso fare a meno di notare come molti abbiano sentito la necessità di sottolineare che il premier ha usato parole di attenzione per il sociale: se c’è il bisogno di sottolinearlo, significa che quest’attenzione non è poi così forte. È necessario fare della lotta alle disuguaglianze una delle prime priorità del Paese.
Siamo riusciti a far partire il Pnrr…
Un piano in cui la parola lavoro non compare quasi mai e che sottovaluta i temi della precarietà, dei salari bassi, delle scelte fiscali non redistributive verso i più deboli. Avrebbe dovuto essere accompagnato da adeguate politiche di bilancio ordinario. Così non è stato. In questi anni abbiamo vissuto una lunga stagione di politiche di austerità, ma il prezzo è stato pagato dalle fasce più disagiate e la povertà è aumentata. E non si è reagito con politiche sociali e di ridistribuzione del reddito.
Una misura di contrasto c’è stata: il reddito di cittadinanza…
Forse avrebbe potuto essere pensato meglio. Ma le continue aggressioni di cui è oggetto sono una violenta colpevolizzazione dei poveri.
E in questa condizione, ci sono vittime più vittime di altre?
Come al solito le donne. Guardiamo i dati sulle assunzioni del 2021: i contratti fatti alle lavoratrici sono prevalentemente a termine. Siamo il Paese europeo con il maggiore tasso di disoccupazione femminile. Il forte divario di genere nell’accesso al lavoro resta e mina l’autonomia delle donne.