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 2022  luglio 15 Venerdì calendario

In morte di Mark Fleischman

«Non ci sarà una festa d’addio» ha detto prima di imbarcarsi sul volo Los Angeles-Zurigo, ultima fermata il suicidio assistito. La «via d’uscita gentile», così la chiamava, che ha posto fine a anni di sofferenza per un male neurologico mai diagnosticato con precisione che negli ultimi sei anni gli aveva rubato la capacità di camminare e di esprimersi chiaramente. Mark Fleischman è morto a 82 anni, i famosi riccioli di una volta strappati dall’età e dalla malattia, ma negli occhi ancora qualche lampo della luce di sempre e lo stesso humour caustico newyorchese: «Mia moglie è costretta a aiutarmi a andare a letto, non riesco a vestirmi né a mettermi le scarpe, la mia capacità di parlare ormai è fottuta».
Fleischman è stato uno dei giganti della vita notturna anni ’80: comprò proprio all’inizio del decennio, nel 1980, lo Studio 54 dai fondatori poi finiti in carcere (le ricevute fiscali non erano di moda nella discoteca più alla moda di tutte: nell’anno dell’inaugurazione dichiararono, in due, redditi per settemila dollari) e lo riaprì nel settembre 1981 cercando di tenere viva la fiaccola di quel posto speciale.
La sera della riapertura c’erano diecimila persone in coda davanti all’ingresso, 254 West 54esima strada, la polizia dovette mettere le transenne e chiudere la via al traffico, la vincitrice dell’Oscar Mary Tyler Moore assieme a tante altre celebrità restò fuori e John Belushi e Jack Nicholson riuscirono a entrare soltanto perché qualcuno li fece passare dal retro, attraverso il labirinto usato dai fornitori di champagne e chissà cos’altro.
Fleischman continuò a organizzare feste memorabili, e in sala c’erano sempre Andy Warhol, Calvin Klein, Halston, Liza Minelli, Cher, Grace Jones, Elio Fiorucci che lo Studio 54 l’aveva inaugurato nel 1977, tante star di Hollywood, artisti e modelle, la giovane Madonna, ragazzi di vita, champagne e cocaina e pillole colorate. La ricetta di una vita vissuta a tutto volume, un baccanale lungo dieci anni.
Inaugurazione
John Belushi e Jack Nicholson entrarono passando dalla «porta dello champagne»
Sotto la statua al neon della luna che sniffava cocaina – il mitologico «Man in the Moon» ora finito a intrattenere i turisti di Las Vegas, senza più il cucchiaio per la «bamba» – successe di tutto, per la gioia di Fleischman che in fatto di sostanze psicotrope non temeva concorrenti, come ricordò anni dopo nella sua autobiografia.
Lo Studio 54, scrisse, «ha quasi distrutto anche me. Avrei potuto tornare a casa alle quattro o alle cinque del mattino, quando chiudevamo le porte del club, ma non l’ho mai fatto. Notte dopo notte, saltavo sulla mia limousine e andavo nei club after-hour, oppure restavo allo Studio 54 a cazzeggiare con la folla dei Vip clienti abituali, gli attori, e gli immancabili galoppini da mandare in cerca di cocaina. Scorrevano torrenziali i drink offerti dalla casa, e tenevo sempre da parte un assortimento di droghe per compiacere i miei ospiti. E allora ci sedevamo nel mio ufficio a chiacchierare delle nostre vite. Poi, verso le nove, strofinandoci gli occhi, uscivamo dallo spazio buio della discoteca per entrare nella luce abbagliante del mattino. E mentre le persone normali correvano su e giù per Broadway dirette al lavoro, io tornavo finalmente a casa».
Ma l’atmosfera irripetibile della «disco» era destinata a morire di cause naturali: successe nel 1986, fine dell’epoca di libertà assoluta nata nel 1977. Oggi lo Studio 54 è tornato a essere quello che era alla sua nascita negli anni Venti del Novecento: un teatro, allora d’opera oggi di prosa. Di quella magia restano foto straordinarie, le memorie di chi c’era, l’invidia inevitabile di chi non c’era e avrebbe voluto esserci, almeno per una notte.