Corriere della Sera, 14 luglio 2022
Medioriente, un’alleanza a tre
GERUSALEMME «Sono a casa» dice, e di sicuro ne ha conosciuto tutti i padroni da quando è atterrato qui per la prima volta nel 1973. Allora senatore esordiente in politica, Joe Biden arrivò 43 giorni prima che scoppiasse la guerra di Yom Kippur e venne ricevuto da Golda Meir: la prima ministra fumava una sigaretta dietro l’altra, Biden visse «uno dei momenti più significativi della mia vita».Prima da membro della commissione Affari esteri del Senato Usa, poi da vicepresidente, ha stretto la mano di Yizthak, a Gerusalemme ha stretto la mano a Rabin e a tutti quelli venuti dopo.
In questa occasione il Covid impone al presidente un saluto con il pugno, ma Biden decide di riservare un gesto caloroso per Benjamin Netanyahu. Sa che il capo dell’opposizione oggi potrebbe essere il primo ministro domani, dopo le elezioni del primo novembre.
Per ora gli incontri ufficiali sono con Yair Lapid: il capo del governo ad interim è anche il capo cerimoniere assieme all’ex premier Naftali Bennett che era già volato a Washington prima delle dimissioni: ora gli israeliani voteranno per la quinta volta in tre anni e mezzo.
Così Biden ritorna a casa. Lo esprime con le parole che più possono essere apprezzate: «Non c’è bisogno di essere ebrei per essere sionisti». Un sostegno dal profondo, senza dimenticare (rispetto a Trump) che la «vera sicurezza per Israele può arrivare solo dalla soluzione dei due Stati».
Domani incontrerà a Betlemme il presidente palestinese Abu Mazen. Restano sospesi i gesti concreti come la riapertura del consolato americano a Gerusalemme Est, nella zona araba.
Lapid vuole spillare ogni voto possibile dall’opportunità di essere fotografato vicino al leader americano e di rispondere con lui alle domande sul futuro del Medio Oriente. Perché questo è un viaggio allargato: dopo le prime tappe, l’inquilino della Casa Bianca volerà a Gedda e il fatto che l’Arabia Saudita abbia concesso all’Air Force One un tratto diretto nell’aria con Israele è già un primo passo nella strategia dei consiglieri di Biden. Che vogliono rassicurare gli alleati nella regione: gli Usa non permetteranno all’Iran di arrivare alla bomba atomica, in cambio chiedono lealtà contro Putin. La guerra del Cremlino in Ucraina potrebbe allargarsi al Mediterraneo orientale.
All’«amico di sempre» Lapid ricorda uno scambio di otto anni fa: Biden gli disse che con la sua capigliatura sarebbe già entrato alla Casa Bianca e Yair gli rispose che con la sua altezza sarebbe già stato sulla poltrona di primo ministro.
Adesso che tutti e due sono al comando, gli israeliani propongono di sviluppare assieme un sistema laser anti-missilistico, l’evoluzione tecnologica delle batterie Iron Dome che Biden ha esaminato da vicino subito dopo l’arrivo, mentre Benny Gantz, il ministro della Difesa, gli mostrava la carcassa di un drone iraniano intercettato sul confine.
Le stesse armi che colpiscono i campi petroliferi e i cargo sauditi. Un’alleanza di necessità e militare che non ha ancora portato a svolte diplomatiche ufficiali come la normalizzazione dei rapporti con altre nazioni arabe.