la Repubblica, 14 luglio 2022
Un punto di vista diverso sulla discriminazione delle donne sul lavoro. Intervista a Claudia Goldin
Non abbiamo ancora capito nulla, dei veri motivi alla radice della discriminazione delle donne sul lavoro. Però è una buona notizia, perché adesso esiste la possibilità di affrontarli e risolverli sul serio. Parola di Claudia Goldin, economista di Harvard, che nel libro Career and Family spiega come mettere le donne in condizione di avere carriera e famiglia, con le stesse soddisfazioni professionali e trattamento economico degli uomini.
Perché lei scrive che «la barriera è il limite del tempo»?
«Uno dei grandi equalizzatori della vita è che tutti abbiamo 24 ore al giorno. Non importa se sei miliardario o povero. Se hai figli piccoli o responsabilità familiari, qualcuno deve essere di guardia a casa, anche se ha un lavoro a tempo pieno. La persona “reperibile” assumerà una posizione più flessibile e meno impegnativa e, di conseguenza, meno paga. Le donne sono generalmente di guardia a casa. Questa è l’iniquità di coppia, ed è l’essenza dell’ostacolo al raggiungimento di famiglia e carriera, reso più difficile dal “lavoro avido”».
Ci spieghi questo concetto dei “greedy jobs”.
«Il lavoro avido è quello che paga sproporzionatamente di più, sulla base del maggior numero di ore e del minore controllo. Potrebbe trattarsi di un compito urgente, un cliente esigente che chiama alle 23, un supervisore che chiede di rinunciare alle ferie per un progetto. Il dipendente disposto a lavorare a tutte le ore – la sera, i fine settimana, in ferie, ed è reperibile in ufficio – è quello che ottiene le ricompense maggiori. Quando sono sproporzionate rispetto al tempo impiegato, abbiamo il “greedy job”.
Non dipende necessariamente dal numero di ore, ma spesso da “quali” ore (fine settimana, vacanze, ora di cena, sera). Ciò può includere anche il sistema “in alto o fuori”, comune a molti impieghi di fascia alta. Ossia chi lavora più ore ottiene grandi ricompense in futuro, come incarichi speciali e promozioni, e chi non lo fa finisce fuori».
Perché i “lavori avidi” sono così importanti nell’ostacolare la carriera delle donne?
«Le famiglie con una doppia carriera hanno difficoltà a condividere equamente gioie e doveri di essere genitori. Potrebbero dividere i compiti, ma se lo facessero lascerebbero molti soldi sul tavolo. La coppia 50-50 potrebbe essere più felice, ma sarebbe più povera, e in genere è la donna a doversi sacrificare. In molte professioni, lavora in aziende o per istituzioni che richiedono meno tempo: docenti, ma non professori di ruolo; studi contabili e legali più piccoli di quelli degli uomini; occupazioni tipo le risorse umane, che richiedono meno ore. Così ottengono vari vantaggi, ma guadagnano anche meno, oggi e in futuro».
Quindi l’equità di coppia, ossia la condivisione delle responsabilità, potrebbe essere una soluzione?
«È ciò a cui rinunciamo, quando le donne fanno di più a casa e gli uomini di più nel lavoro».
Sta dicendo che le discriminazioni anche sessuali denunciate dal movimento #MeToo, o casi come Lilly Ledbetter, che costrinse gli Usa ad ammettere e correggere la differenza di retribuzione tra uomini e donne a parità di mansioni, non sono decisive nell’impedire alle donne di raggiungere i propri obiettivi dicarriera e stipendio?
«Sono importanti. Ma per chi ha figli e altre responsabilità di famiglia, i “greedy jobs” sono più importanti.
Molto più importanti, in termini di differenza di guadagno tra madri e padri».
Che impatto ha avuto il Covid?
«Il primo anno della pandemia è stato per molte persone lavoro da casa. Avremmo potuto adottarlo già dalla diffusione di Internet ad alta velocità, ma c’è voluta un’epidemia globale per riorientarci. Gli impatti sono stati molti e ancora non sappiamo esattamente quali. Ma alcuni sono evidenti. La pandemia sembra aver abbassato il costo della flessibilità in vari modi. Le aziende e i lavoratori hanno imparato a utilizzare le tecnologie che consentono riunioni a distanza.
Inoltre startup intelligenti hanno inventato nuovi tipi di software che forniscono ai team un maggior senso di familiarità e unione, promuovendo la fiducia e consentendo la creatività tra i lavoratori remoti».
La flessibilità che deriva dallo smart working può aiutare a risolvere il problema dellediscriminazioni?
«C’è una reale possibilità che la panacea venga dalla pandemia. Se puoi fare l’incontro per una fusione o un’acquisizione con un cliente a Tokyo o Pechino, senza mai salire su un aereo, il genitore che ha bisogno di essere a casa di notte può accettare quel lavoro, ed è probabile che quella persona sia una donna. Il numero di ore lavorate può rimanere lo stesso, ma il dipendente ha maggior controllo su quelle libere, come quando un bambino va a letto o la famiglia cena insieme».
Come potrebbe cambiare la struttura del lavoro, al fine di raggiungere una reale parità di genere e mettere fine alle discriminazioni delle donne?
«Bisogna sottolineare che le donne non sono le uniche a perdere. Anche gli uomini ci rimettono, poiché si perdono molte delle gioie di crescere i propri figli. Maggiore è il grado di intercambiabilità tra i lavoratori, maggiore è la capacità di trasferire clienti, studenti, o altri interlocutori da un dipendente all’altro. Se una persona deve prendersi una breve pausa per motivi familiari, qualcun altro può subentrare. Ciò viene già fatto continuamente tra medici di famiglia, pediatri, farmacisti e molte altre occupazioni di fascia alta. Ma non è solo il modo in cui il lavoro potrebbe mutare. Si tratta anche di come le famiglie potrebbero cambiare e di come i governi potrebbero favorire l’uguaglianza di genere, spendendo di più per l’assistenza all’infanzia di alta qualità e disponibile».
Quale impatto avrà ora la decisione della Corte Suprema Usa di annullare il diritto costituzionale all’aborto, e l’intenzione del giudice Thomas di attaccare anche l’uso di contraccettivi?
«La “pillola” ha consentito alle donne di alzare l’età del matrimonio in relazione alle esigenze dei diplomi avanzati. Non ha necessariamente cambiato il numero dei figli nati, ma i tempi. Non credo che ci sarà un attacco alla contraccezione come per l’aborto. Troppi uomini sarebbero contrari».
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