la Repubblica, 14 luglio 2022
Breve storia della verifica
Però anche una mancata verifica, quando sta per venire giù tutto, è una verifica è una verifica è una verifica. Non solo, ma a evocarla già negli anni ’80 alimentava una tale noia che un bel giorno in una vignetta Giorgio Forattini, esasperato, denudò tre o quattro politici del pentapartito, un paio li raffigurò come donne e ai piedi di un lettone matrimoniale battezzando quella singolare riunione di maggioranza: “Very fica”.
Chissà se oggi se lo potrebbe permettere. In compenso, oltre che pretese verifiche, le cronache e i retroscena di Palazzo abbondano di vertici, mediazioni, convergenze, rimpasti, fase 2, non fiducia, appoggio esterno. Di quest’ultimo, ancora prima di Forattini, faceva una riuscita tele- parodia Alighiero Noschese, truccato da Ugo La Malfa, con spessi occhiali da miope, bofonchiando con accento siciliano «non si vede una minghia»; appoggiava dunque il braccio destro sullo stipite di una porta e premeva: l’appoggio esterno, appunto.
Sul non-voto, o Aventino, esiste d’altra parte un’ampia e vacua letteratura, così come sull’ultimatum e il suo ingenuo fratello, il penultimatum, potrebbe compilarsi un vasto repertorio di desolata insignificanza. Da segnalare, l’altro ieri, la parola «fibrillazioni», al plurale, fiorita sulle labbra di Mario Draghi. Va così, c’è poco da fare. Più difficile, semmai, è farsi un’idea del perché, in prossimità di crisi vere o presunte, i governanti, i politici, i loro comunicatori e i giornalisti parlano e scrivono come nella Prima e nella Seconda Repubblica; con il che, ancora una volta, il vecchio politichese porta la sua sfida all’eternità. Poco importa che l’estremo, ennesimo e perenne ritorno del sempre uguale faccia avvertire la nostalgia della più buffa retorica, «il nuovo umanesimo» di Conte, per intenderci, o «l’eliminazione della povertà» certificata da Di Maio. Allo stesso modo dinanzi alle vetuste e rinverdite formule del genere dico-e-non-dico, la memoria finisce per rimpiangere addirittura le riprovevoli semplificazioni social, meglio se a sfondo bodyshaming, per cui il nemico è brutto, è basso, ha gli occhi storti, è ricchione, non si lava mai i capelli (tutti esempi documentabili).
Il divertente è che nessuno crede, oggi come ieri, a quel che dicono i politici. Al loro posto, del resto, parlano le facce: la sopportazione di Draghi, il nasino all’insù dell’Avvocato del popolo, gli occhi bassi di Orlando, la smorfia corrucciata di Giorgetti. Dalla «salvezza nazionale» al deragliamento del governo sull’inceneritore di Santa Palomba, più che la vecchia e cara ipocrisia delle mani libere o la reticenza figlia della rotolata giù per la china, si misura qualcosa che probabilmente ha a che fare con l’innata attitudine nazionale alla finzione, alla chiacchiera, alla commedia, al melodramma. Che poi, nel vuoto di idee e nel deserto dei progetti, è il modo tutto nostro – mica solo dei politici – di venire a patti con la realtà, ammansirla, adornarla, farsela piacere, addomesticarla o magari negarla.
Ed ecco allora i soliti falchi, le immancabili colombe, perfino gli evocati pontieri, leghisti o cinque stelle che siano, comunque in tal modo battezzati nel remoto 1967 allorché Paolo Emilio Taviani cercò (invano) di lanciare un “ponte” fra la maggioranza dei dorotei e la sinistra, specie Moro. Ed ecco di nuovo, inutilmente puntuale, l’invocazione per un «chiarimento» e l’inesorabile trattativa per evitare lo «strappo» o comunque la «discontinuità», questi ultimi due lemmi entrati nell’immaginario del possibile, sembra di ricordare, allorché gli epigoni del comunismo italiano iniziarono a porsi il problema di cambiare nome, che poi significava cambiare tutto.
E tutto sempre che di riffa o di raffa si va a incastrare nella ritrosia in forma di possibile o impossibile rinvio : «A settembre». Ma prima, per la gloria linguistica di questo tempo, ecco spuntare qualcosa di seminuovo, voce stentorea al microfono, sottofondo di musica elettronica: «Tutto pronto, grande carica, allacciate le cinture, da questo momentosi vola: Papeete!!!».