La Stampa, 14 luglio 2022
I governatori sono con Draghi
«Se i Cinque Stelle faranno una scelta, parola agli italiani» dice il segretario della Lega Matteo Salvini. «Se si può andare avanti anche senza M5S? Giro la domanda al presidente Mattarella che, come prevede la Costituzione, sentirà le forze politiche, vedrà i numeri e deciderà» dice più o meno negli stessi minuti il governatore del Veneto Luca Zaia.
Indipendentemente da come andrà a finire questa crisi, la giornata di ieri è servita a mostrare che nonostante gli sforzi per apparire uniti e compatti, nel Carroccio continuano a vivere e ad agitarsi due anime: una scettica sul rimanere nell’esecutivo fino alla fine della legislatura perché preoccupata dal calo dei consensi, l’altra governista senza se e senza ma. Rimandate a data da destinarsi le battaglie parlamentari su ius scholae e cannabis, punto di sintesi dopo la batosta delle amministrative fra la Lega di lotta e quella di governo, ieri i pesi massimi del partito sono tornati a dividersi su questioni quasi esistenziali. Nonostante la fuga in avanti di Salvini, le differenze non sono tanto sull’ipotesi di «staccare la spina» al governo, oggi quella responsabilità è tutta nelle mani dell’«avvocato del popolo», ma su cosa fare se i Cinque Stelle, dopo essere usciti dall’Aula del Senato oggi per non votare la fiducia, abbandoneranno la maggioranza. Andare alle urne sfruttando l’exit strategy offerta su un piatto d’argento da Conte o valutare l’ipotesi di un nuovo esecutivo?
Significativi, da questo punto di vista, sono tanti dettagli. Il primo è che sia Luca Zaia che il collega lombardo Attilio Fontana ieri mattina sono entrati insieme a Palazzo Chigi per chiedere a Draghi di entrare nella governance delle Olimpiadi invernali sul modello di quanto fatto per l’Expo 2015. Il messaggio, al di là del fatto che l’incontro era programmato da tempo e che solo per caso è coinciso con una delle giornate più convulse degli ultimi mesi, è chiaro: noi stiamo lavorando con questo governo e guardiamo avanti, concentrandoci sulle cose concrete da fare. Il secondo è che Zaia, fermandosi a parlare con i cronisti davanti ai «palazzi romani» dopo dieci giorni in cui ha preferito stare lontano dalla scena politica per seguire da vicino la tragedia della Marmolada, abbia usato parole molto chiare sia nella sostanza che nella forma. «Il dibattito è il sale della democrazia, ma in questo momento particolare c’è bisogno di un governo per prendere decisioni strategiche – ha detto “il Doge” -. Io spero che non ci siano motivi perché questo governo cada, perché entreremmo in un limbo pericoloso». Poi ha aggiunto: «Noi della Lega abbiamo un ruolo e possiamo giocarcelo fino in fondo, abbiamo le nostre istanze a partire dall’autonomia che non è la secessione dei ricchi». Ed è qui, nell’uso del plurale «noi della Lega», e nell’immaginare un ruolo da azionista di maggioranza del Carroccio in un eventuale governo senza Cinque Stelle, che Zaia forse si sbilancia di più. «Più che da militante ha parlato da commissario politico, ha dato la linea al partito» riflette un osservatore “interessato” che conosce bene le dinamiche carsiche interne alla Lega e che da tempo spera in un ruolo nazionale di Zaia. La legge quadro sull’autonomia è da sempre la battaglia del presidente del Veneto (e non solo perché finora il referendum votato dai veneti è rimasto sulla carta), ma metterla al primo posto di ciò che la Lega si aspetta da Draghi significa «baricentrare» ancora di più la Lega sull’esecutivo. Altro che staccare la spina prima o dopo il raduno di Pontida di metà settembre.
A far sentire la voce filogovernativa della Lega ci ha pensato anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana, intercettato anche lui all’uscita di Palazzo Chigi: «Io sono convinto che in questo momento sia importante che Draghi vada avanti, che superi anche questi momenti in cui oggettivamente ci sono tanti problemi, tante difficoltà. Credo che questo governo possa avere degli spazi per affrontarle e risolverle. Mi auguro che ricominci a lavorare con assoluta tranquillità, nel pieno della sua forza. Gli sfilacciamenti non vanno bene». Quanto al ministro Giancarlo Giorgetti, il più draghiano dei leghisti, il suo silenzio di ieri vale più di tante parole. Quello che doveva dire in difesa dell’«unico governo possibile» lo ha già detto nei giorni scorsi ai deputati. E così il comunicato ufficiale diffuso nel pomeriggio da via Bellerio non è che l’ennesimo tentativo di provare a superare le divisioni: «Ovviamente la Lega non si augura crisi o perdite di tempo, sono altri che stanno facendo o disfando, sicuramente non si può andare avanti così». —