La Stampa, 14 luglio 2022
Kateryna Bakhvalova, la giornalista bielorussa condannata a 8 anni per aver filmato una protesta anti Lukashenko
L’avrebbero dovuta scarcerare il 5 settembre, dopo due anni trascorsi dietro le sbarre per una sentenza tanto ingiusta quanto assurda. Kateryna Bakhvalova – nota anche con lo pseudonimo di Kateryna Andreyeva – è stata invece condannata dal regime bielorusso ad altri otto anni di reclusione. Una condanna pesantissima e di ovvia matrice politica, inflitta per un’accusa di “alto tradimento” della quale gli inquirenti non hanno rivelato alcun dettaglio, ma da cui è facile intuire l’obiettivo del regime di colpire per motivi politici una persona innocente.
Katerina è una giovane giornalista e due anni fa è finita nel mirino del despota bielorusso Aleksandr Lukashenko per aver fatto il suo dovere: raccontare le proteste antiregime in Bielorussia e la loro brutale repressione da parte della polizia. Gli agenti l’hanno arrestata nel novembre del 2020 assieme alla collega Daria Chultsova, con cui aveva appena filmato la violenta repressione di un corteo in memoria di Roman Bondarenko: un attivista ucciso in quei giorni da uomini a volto coperto ritenuti legati al regime. È bastato questo agli inquirenti per accusare le due reporter di aver fomentato con i loro servizi in tv le manifestazioni contro “l’ultimo dittatore d’Europa": quell’Aleksandr Lukashenko al potere da quasi 30 anni soffocando ogni forma di dissenso e calpestando i diritti umani.
«Il reato è stato commesso con cellulari, videocamere, un treppiedi e giubbotti con la scritta Press», affermava in aula la pm sostenendo quell’accusa assurda. Poi per Katerina Bakhvalova e Daria Chultsova è arrivata puntuale la condanna a due anni: una sentenza liberticida che ha indignato il mondo, mentre in quel febbraio del 2021 le foto delle due reporter abbracciate alla sbarra degli imputati finivano su tutti i giornali.
Questa volta non è nemmeno chiaro quali siano le imputazioni rivolte a Katerina Bakhvalova. Si sa che la giornalista è accusata di “alto tradimento” e niente di più: il processo a Gomel si è svolto infatti a porte chiuse, e Belsat – la tv con sede in Polonia per la quale lavora la reporter – afferma che l’avvocato difensore ha dovuto firmare un documento in cui si impegna a non divulgare a nessuno i dettagli del processo, neanche ai familiari dell’imputata. La sentenza pare di certo dettata dal regime, è stata emessa in pochi giorni ed è stata subito condannata da Amnesty International, che ha denunciato «un processo farsa motivato politicamente».
«Mi fa arrabbiare così tanto vedere il regime vendicarsi di chi ha il coraggio di resistere», ha dichiarato la principale oppositrice bielorussa, Svetlana Tikhanovskaya, costretta a lasciare il suo Paese dopo aver sfidato Lukashenko alle urne nel 2020. Ufficialmente le presidenziali sono state vinte dal despota bielorusso, ma questo risultato è considerato il frutto di evidenti e massicci brogli elettorali e per mesi migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza contro il regime. Le proteste pacifiche sono state represse con violenza e con ondate di arresti. I principali oppositori sono ora in carcere o all’estero e ad oggi secondo l’ong Viasna in Bielorussia ci sono ben 1.244 prigionieri politici.
Se Ue e Usa hanno imposto sanzioni al governo di Minsk, il regime di Putin si è invece schierato con Lukashenko. Ed è proprio in Russia che in questi mesi la repressione politica si sta inasprendo sempre di più. Dopo aver ordinato l’invasione dell’Ucraina, Mosca ha varato una nuova legge “bavaglio” che prevede fino a quindici anni di reclusione per la diffusione di notizie sull’esercito che dovessero essere ritenute “false” dal regime. In pratica, in Russia è vietato esprimersi contro la guerra in Ucraina. Per questa legge famigerata uno dei più noti oppositori russi, Ilya Yashin, rischia fino a dieci anni di carcere. Il dissidente è stato preso di mira per aver avuto il coraggio di denunciare le atrocità di Bucha e ieri una corte gli ha imposto due mesi di custodia cautelare in carcere. —