Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  luglio 14 Giovedì calendario

Cuba, dollari sempre più usati

La presenza americana a Cuba era rappresentata dalle vecchie Cadillac con i fari tondi e il tettuccio bianco. Ora dalle parti dell’Avana sono tornati anche i dollari. La profonda crisi economica e le conseguenze della guerra in Ucraina hanno accelerato il processo di dollarizzazione. Non è questione di pesos con l’effige di Che Guevara o di banconote col volto di George Washington: al centro della piccola rivoluzione monetaria ci sono le rimesse, che hanno un ruolo vitale nel reddito familiare dei cubani.



La parziale dollarizzazione è iniziata nell’ottobre 2019, a cavallo dell’avvicendamento al governo tra Miguel Díaz-Canel e Manuel Marrero Cruz. Di fronte allo scetticismo di alcuni e alle critiche di altri, l’esecutivo comunista aveva deciso di vendere elettrodomestici, ferramenta e mobili in un ristretto numero di negozi.

L’obiettivo dichiarato era «catturare i dollari fuggiti dal Paese» nelle mani di coloro che si recavano in altre nazioni per acquistare merce e poi rivenderla nel mercato informale. La misura era stata definita temporanea. E il ministro cubano dell’economia, Alejandro Gil Fernández, aveva dichiarato pubblicamente che le vendite in dollari Usa non sarebbero state estese ad altri comparti. Tre anni dopo, però, a Cuba la maggior parte dei beni di consumo e dei servizi, compreso il cibo, viene venduta in valuta statunitense.

Come confermato da Raúl Castro nel suo Rapporto centrale all’ottavo congresso del partito comunista di Cuba, «le vendite in valuta liberamente convertibile sono state estese ad altri prodotti, compreso il cibo, con lo scopo di incoraggiare le rimesse che i cittadini cubani all’estero inviano ai loro parenti nel territorio nazionale».


In questo modo lo Stato è esonerato dalla responsabilità di garantire la vendita di valuta estera ai propri cittadini al tasso di cambio ufficiale di un dollaro americano uguale a 24 cup, ovvero il pesos comune di Cuba, mentre tutte le entrate salariali sono in valuta nazionale.

Le famiglie, così, restano in balia del denaro che arriva dall’estero.

Secondo i calcoli dell’Inter-American Dialogue, un think tank nel settore delle relazioni internazionali con sede a Washington, l’isola caraibica, nel 2019, ha ricevuto rimesse per un valore di oltre 2 miliardi di dollari, pari al 2% del pil nazionale. Le sanzioni statunitensi imposte da Donald Trump e successivamente alleggerite da Joe Biden non solo vietavano le transazioni dell’entità statale cubana, ma limitavano anche l’importo che ogni emigrato poteva inviare dagli Stati Uniti a mille dollari al trimestre.

La dollarizzazione, all’intento della comunità cubana, ha tuttora un costo elevato. Soprattutto sul piano sociale. «Per ogni dollaro di rimessa ricevuto da una persona di pelle nera, una persona bianca può ricevere sino a tre dollari a causa della struttura storica della migrazione cubana», ha detto alla testata locale OnCubaNews il sociologo Julio César Guanche.

Anche l’economista Oscar Fernández ha sottolineato che «la dollarizzazione accresce i divari reali di disuguaglianza: finché lo Stato non interverrà nel mercato dei cambi per offrire alcuni mezzi legali di accesso alla valuta liberamente convertibile in cambio di pesos cubani, la politica statale escluderà masse di persone dal consumo nei negozi in valuta pregiata». Il ritorno del dollaro, per gran parte delle famiglie cubane, costa ben più di una vecchia Cadillac.