Corriere della Sera, 13 luglio 2022
I folli progetti di Abu Malik, il chimico di Saddam
È sempre stato il sogno dell’arma «assoluta» per i movimenti qaedisti: veleni, pozioni, diavolerie create con alambicchi e miscele. Lo «sheikh» Osama bin Laden si era affidato ad un mago degli esplosivi, un militante che tra le casupole dell’Afghanistan faceva i suoi test svegliando i poveri pastori. Il califfo Al Baghdadi ha fatto di più avendo a disposizione un vero esperto, un veterano, un tecnico: Abu Malik il chimico.
Salih Al Sabawi – questo il suo vero nome – non era uno dell’ultima ora, uno di quei guerrieri fatti con la «copiatrice». No, alle sue spalle aveva un passato nelle forze armate di Saddam Hussein, grandi conoscenze, esperienza. Ingegnere, addestrato in Russia, era diventato un alto ufficiale che aveva partecipato alla divisione che doveva occuparsi di sostanze non convenzionali e di bombe chimiche, parte di quell’arsenale che il regime usò contro iraniani e curdi provocando migliaia di vittime. Lo scienziato – secondo una ricostruzione di Joby Warrick sul Washington Post – ha lavorato a lungo negli impianti di Al Muthanna, uno dei siti che il regime dominato dal Partito Baath aveva dedicato allo sviluppo dell’arsenale.
Una volta caduto il dittatore dopo l’invasione Usa del 2003 Al Sabawi, come molti suoi colleghi, è rimasto senza una causa e senza un lavoro, quindi è entrato nei ranghi della resistenza pronto a battersi contro lo straniero. Due anni dopo è stato catturato, per poi essere rilasciato nel 2012: la permanenza in carcere gli ha permesso di creare rapporti con altri militanti, una situazione già vista con lo stesso Al Baghdadi, con la prigione a fare da «accademia del terrore», a cementare legami tra ex baathisti e devoti alla guerra santa. Non pochi di loro saliranno nella gerarchia interna del movimento.
Una volta fuori, Abu Malik ha ripreso in mano le vecchie competenze per mettere a punto mix letali, alcuni dei quali sono stati impiegati dai jihadisti in Iraq. Il passo successivo sarebbe stato quello di un’operazione nel continente europeo, un colpo spettacolare a seguire quelli portati in Francia e Belgio. A Washington non escludono che nel mirino potessero esserci anche delle basi militari.
A questo fine, dopo una riunione specifica con il califfo, l’estremista ha messo in piedi un network usando non delle grotte o rifugi nel deserto, ma le strutture dell’università di Mosul e altri laboratori, una rete tecnologica di prima qualità.
La sua azione non è però sfuggita all’intelligence. È iniziata una lunga caccia, con un tracciamento continuo di Abu Malik, missione condotta in tandem dagli Usa e gli alleati curdi, i fondamentali occhi sul terreno. E alla fine di gennaio del 2015 i «battitori» hanno individuato con certezza il target: un drone americano lo ha incenerito con un paio di missili. La decapitazione ha fermato probabilmente il progetto.
Il leader ucciso in Siria
La stessa fine riservata ad Abu Maher Al Agal, presunto leader dello Stato Islamico in Siria: è stato eliminato da un raid statunitense nel nordovest del Paese. Gli Stati Uniti, in questi mesi, non hanno mai perso di vista lo Stato Islamico e i membri di Al Qaeda. La fazione ha continuato ad agire nel quadrante siroiracheno, anche se le dimostrazioni di forza maggiori sono state in Africa per opera di gruppi affiliati.