la Repubblica, 13 luglio 2022
Intervista a Gino Paoli
«Questa sì che è un’orata». Gino Paoli indica il pesce più grosso nella vetrina del pescato del giorno del suo ristorante preferito.Attraversa la sala scambiando un saluto con i camerieri e, quando si affaccia sulla terrazza ombreggiata dalle nuvole di Quinto al Mare, vicino alla sua casa a Genova Nervi, i clienti seduti ai tavoli si voltano a guardarlo.È come un’apparizione.Paoli è Genova. È una leggenda della musica italiana. Col cantautore, accompagnato dalla moglie Paola Penzo, siamo venuti qui a pranzo per conversare di sapori, piatti e delizie che allietano le sue giornate da sempre. E che nutrono la sua creatività, la sua fantasia ma soprattutto l’amore, un sentimento che Paoli, a 87 anni, ha imparato a riconoscere come «l’unica ancora di salvezza per il mondo».Ugualmente il cibo, «se preparato con cura, con i migliori ingredienti.Fa stare bene le persone in un’atmosfera di convivialità» riflette Paoli prima di ordinare.Paoli, la sua indimenticabile canzone “Sapore di sale” compie 60 anni, la compose nell’estate del 1962. Quel sapore di sale trasmette la passione tra i due amanti. Ungusto può rivelare molte cose di noi, come persone?«Una cosa che ho capito dei sapori è che sono identificabili con le persone che abitano i luoghi in cui hanno preso forma. Sono identificabili con il loro carattere, ma anche con la storia di quella città, di quel particolare posto. I genovesi per esempio hannosempre trovato i sistemi, sia nella coltivazione che nella cucina, per ottenere i migliori risultati risparmiando il più possibile».In quel brano parla di “un gusto un po’ amaro di cose perdute…”. Ci sono dei piatti che le fanno ricordare immediatamente una persona o un momento particolare della vita?«È un fenomeno per certi aspetti strano, che si avvicina all’esperienza onirica. Alcune volte mi è successo di assaggiare per la prima volta una cosa e di essere sicuro di averla già mangiata. Ma era impossibile. In quelle situazioni penso che dipenda dalle vite che uno ha vissuto prima.Anche gli odori, ce ne sono alcuniche ti proiettano da un’altra parte, in una dimensione diversa. Banalmente il caffelatte la mattina, quell’odore lì, ti proietta chissà dove, nella tua infanzia. Niente come la cucina è in grado di fare una cosa simile. Quando mangio è difficile che non mi venga in mente mia madre, come faceva un certo piatto. Quel sapore mi richiama la sua presenza».Il suo piatto della memoria qual è?«Il presnitz, un dolce triestino e goriziano, lo faceva mia mamma, lo facevano tutte le donne della famiglia che erano sempre in competizione tra loro su questo. Di solito comunque vinceva la nonna».I suoi piatti preferiti?«Questa aragosta alla catalana che ho ordinato è notevole. La prendo sempre. Adoro la focaccia genovese, le trenette o le trofie al pesto, i ricci di mare».La tavola è convivialità?«Sì, lo è sempre stata, anche troppo. Sono cose che vengono dalla famiglia. Mio padre esigeva che alle 8 di sera fossimo a tavola altrimenti erano guai seri. Io con i miei figli ci ho provato: si sta a tavola finché tutti non hanno finito di mangiare! Poi si mettono di mezzo le madri che dicono lasciali andare, e buona notte».