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 2022  luglio 13 Mercoledì calendario

Un nuovo sguardo sull’universo

Elena Dusi per la Repubblica
Come si è formato l’universo? C’è vita su altri pianeti? Come nasce e muore una stella? In ciascuno di questi misteri il telescopio spaziale James Webb guarderà più lontano degli altri. Ce ne ha dato un’anteprima ieri, svelando le prime foto scattate da quando si è accomodato nella sua postazione, a 1,5 milioni di chilometri da qui, con le spalle a Sole e Terra e l’occhio che per 20 anni resterà puntato sulle profondità dell’universo.
Era solo un test per controllare che tutto funzionasse, uno sgranchirsi le gambe dopo il viaggio dalla Terra iniziato il giorno di Natale del 2021. Durante il tragitto Webb, partito come un cubo, ha dovuto allargare e far combaciare alla perfezione isuoi 18 specchi larghi in tutto 6,5 metri, con la patina d’oro che lo fa sembrare un’ape svolazzante per il cosmo. Ha poi dispiegato lo scudo termico che lo ripara dal Sole, grande come un campo da tennis.
In un mese di osservazione Webb ha rivelato la presenza di acqua su un pianeta a 1.100 anni luce da noi. Ha raccolto il grido di una stella che muore ed esplode, proiettando getti di polvere e gas. Ha osservato quella culla di nuove galassie che è la nebulosa della Carena, dove si concentrano le stelle bambine. Ha dipinto nel cosiddetto “Quintetto di Stephan” il ballo delle galassie che, come ha spiegato la Nasa, «restano intrappolate in una danza di ripetuti incontri ravvicinati», mentre un buco nero digerisce e libera un’energia pari a quella di 40 miliardi di Soli.
Sempre come antipasto, Webb ha raggiunto le galassie primordiali, fotografando un ammasso di migliaia di oggetti scintillanti, parte rossi, parte bianco-azzurri, i più antichi dei quali si sono formati 13,2 miliardi di anni fa, 600 milioni di anni dopo il Big Bang: un record per unostrumento astronomico. Il suo predecessore, quel telescopio spaziale Hubble che pure in 30 anni di attività ha colorato il nostro universo con immagini e colori spettacolari, aveva ripreso lo stesso angolo di universo, «non più grande di un granello di sabbia tenuto davanti agli occhi con il braccio teso», ha descritto ancora la Nasa. La sua foto di fronte a quella di Webb appare come una tela nera con poche decine di luci. «Fra 6 giorni inizieremo anche noi a fare osservazioni con Webb», anticipa Andrea Ferrara, astrofisico della Normale di Pisa. «Faremo una sorta di tomografia ad alcune migliaia di galassie formatesi nel primo miliardo di anni di vita del cosmo».
Per riempire il cosmo di luci ed emozioni, come Webb ha iniziato a fare, la Nasa ha speso 10 miliardi di dollari. Un altro miliardo è arrivato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e da quella canadese. Il progetto del nuovo telescopio è nato 28 anni fa e coinvolge 10mila scienziati. A lungo l’idea di Webb era stata considerata troppo ambiziosa (e costosa). Il dispiegamento degli specchi e dello scudo solare, che il telescopio haportato a termine in quasi completa autonomia, prevedeva il movimento di 344 meccanismi diversi. Difficile – sostenevano in molti – che qualcosa non si rompesse nel tragitto.
Invece tutto finora è andato nel migliore dei modi. Solo qualche piccolo sasso spaziale che ha colpito lo specchio ha fatto per un attimo tremare. Lunedì sera lo stesso presidente americano Joe Biden aveva voluto svelare l’immagine più evocativa, quella delle galassie antiche riprese nell’universo profondo, allungate e distorte nelle immagini come previsto da Einstein. Perché saremo in guerra, senza gas e in piena crisi climatica. Ma stavolta la scienza è riuscita a darci un’iniezione di fiducia. «È un momento storico» ha detto Biden. «Abbiamo davanti a noi la più antica luce dell’universo mai documentata, arrivata da oltre 13 miliardi di anni di distanza». Il telescopio, ha aggiunto l’amministratore della Nasa Bill Nelson, «ci aiuterà a rispondere a domande che per ora non siamo neanche in grado di porre».


Gabriele Beccaria per la Stampa

«Offriamo all’umanità uno sguardo che non ha mai avuto prima». Rigido nella posa, estatico nei toni. È l’amministratore della Nasa, Bill Nelson. «Queste immagini e questi dati avranno un impatto profondo sulla comprensione dell’Universo e ci spingeranno a pensare in grande». Gli fa eco il direttore del programma Greg Robinson, non meno ispirato.
Ieri, a Washington: la diretta mondiale ha svelato mondi lontani, lontanissimi, mai osservati prima e che solo l’occhio multiplo del più grande telescopio mai realizzato può darci e ci darà. Eccola, la sequenza di «scatti» del James Webb Telescope: un’anteprima, grandiosa e visionaria, che ci prepara al tuffo nel cosmo profondo e a un viaggio di cui ancora non conosciamo gli esiti. Per gli scienziati sarà l’indagine sulle origini del Tutto, per gli altri una rivoluzione nei modi con cui immaginiamo l’immensità dello spazio.
La scoperta più sorprendente è legata all’analisi dello spettro di una remota sorgente di luce: proviene da Wasp-96b, un esopianeta, alla distanza – non razionalizzabile per i non addetti ai lavori – di 1150 anni luce. È nella costellazione della Fenice ed è un Giove alla massima potenza. Un pianeta extra-large, che ruota vicino alla sua stella, completando un’orbita in un periodo che equivale a tre giorni e mezzo sulla Terra. L’atmosfera contiene le evidenze dell’acqua: la sua presenza genera foschie e nuvole e movimenta ciò che appare come un cielo simil-terrestre. E questo è l’inizio: in futuro l’analisi andrà ancora più a fondo, alla ricerca di molecole-chiave: ossigeno, metano, anidride carbonica.
Merito dell’high tech del James Webb. Definirlo telescopio è riduttivo. Invece che un grande «tubo», come il suo predecessore, Hubble, in orbita sulle nostre teste, il super-strumento è un «fiore di specchi», collocato in prossimità di uno dei punti di equilibrio gravitazionale del sistema Terra-Sole: è noto come «punto lagrangiano L2», a 1,5 milioni di chilometri da noi, in direzione opposta a quella della nostra stella. È in una sorta di vuoto silente, oltre che gelido, a -225 gradi. Un luogo infernale, per noi, ideale per questa sofisticata macchina: lì James Webb può eseguire i suoi studi nello spettro infrarosso e, perciò, spingere oltre lo sguardo, a distanze finora impensabili. Curioserà nel cosiddetto Universo Profondo, avvicinandosi alla soglia della creazione, a 13,5 miliardi di anni fa.
E allora si capisce l’emozione delle immagini esibite dalla Nasa – a centinaia e a migliaia di anni luce – e che compaiono in questa pagina. La Nebulosa Carina, per esempio: una silhouette di picchi e valli, che compone un’irrequieta regione «aurorale», in cui nascono a ripetizione nuove stelle. Altrettanto emozionante è lo «Stephan’s Quintet», quintetto di galassie che contiene ammassi di milioni di giovani soli, immersi in code di gas e in nubi di polveri, in una danza condotta dalle tremende forze gravitazionali in gioco. Se gli astrofisici scherzano sulle «nursery» delle stelle, sono non meno impazienti di imbattersi nelle loro «morgue». E infatti la Nebulosa «Southern Ring» racchiude soli morenti, che spruzzano rabbiosamente getti energetici.
A chiudere idealmente la galleria di meraviglie è Smacs 0723: un insieme di galassie sorpreso com’era 4,6 miliardi di anni fa. È la prova delle capacità di James Webb. Prepariamoci. —