La Stampa, 13 luglio 2022
Storia di una Roma disordinata. Intervista a Corrado Augias
Corrado Augias, intellettuale nato e vissuto a Roma che non ha mai ammiccato alla «romanità», è serenamente ma profondamente pessimista: se nella capitale d’Italia, una città cosi ricca di storia e di cultura, la discussione pubblica è tutta concentrata e anche materialmente si accende attorno ad un tema come lo smaltimento dei rifiuti, che le grandi metropoli hanno risolto da decenni, allora «vuole dire che siamo al fallimento!».Sostiene Augias: «In una città come Roma dovremmo parlare di ben altri problemi: come integrare le periferie più derelitte, come attivare qualche iniziativa culturale che sia capace di “abbellire” la città. E invece siamo costretti ad ascoltare un Movimento politicamente agonizzante come i Cinque stelle che come obiettivo da abbattere ha scelto il termovalorizzatore. Ma ci rendiamo conto? I termovalorizzatori esistono in tutte le capitali e in una città che annega nei rifiuti, bisognerebbe farlo di corsa, domattina!».Giornalista, scrittore, autore televisivo, con una passione per la storia, Augias è convinto che il plateale degrado di queste settimane a Roma non sia una improvvisa escrescenza, ma sia il prodotto di una lunga concatenazione di vicende, usanze, accadimenti: «Una città nata da un fratricidio è un po’ segnata nel suo destino: i miti, come sappiamo, hanno un profondo significato di verità e di predestinazione…».Augias, in ogni città ci sono rotture ma anche fili rossi, carsici e persistenti: quali a suo avviso pesano ancora oggi?«Roma ha una posizione geografica, potrei dire geopolitica, un po’ ambigua. I viaggiatori inglesi dicevano che Roma comincia l’Oriente. E dunque il fascino, la seduzione ma anche il caos, il chiasso. Tanto è vero che ai primi del Novecento, quando lo storico francese Jerome Carcopino approda a Roma, ci lascia la descrizione di una strada che sembra scritta ieri mattina: “Qui i barbieri radono in mezzo alla strada… altrove i bettolieri, arrochiti a forza di chiamare una clientela che finge di non sentire, esibiscono salsicce fumanti nelle casseruole calde…».Roma non ha mai perso quel disordine anarchico della Roma papalina…«Un disordine che è ben descritto dalle targhe in marmo che ancora oggi si possono leggere nelle cantonate del Centro storico: “Si vieta di fare monnezzaro, sotto pena di scudi."».Però, allora e oggi, una città di imperatori, Papi, Re, che continua ad esprimere una grande bellezza, o no?«Ma certamente. Ci sono parti della città di una bellezza incomparabile, che non si trovano in nessun’altra città al mondo. Non a Parigi, non a Londra. Abbiamo luoghi di incanto che sopravvivono in una città sordida».A Roma la più grande impresa è stata quella del mattone: questo pesa?«Certamente. Nel 1870, quando i bersaglieri entrano a Porta Pia e Roma viene riunita al Regno d’Italia, in città abitano 220 mila abitanti: una cittadina, un borgo, una città di provincia, attraversata da tratti di campagna. Certo, una città con tratti di bellezza romantica, ma che restituiva un’idea di morte, come ha ben tratteggiato Chateaubriand nei suoi racconti sulla Roma notturna. Questa piccola città diventa la capitale del Regno e in pochi anni attira migliaia di dipendenti pubblici dal resto del Paese. Si produce una febbre edilizia, che si porta dietro speculazioni e scandali, la cancellazione di meravigliose oasi verdi come Villa Ludovisi. E nel secondo dopoguerra a Roma riparte una febbre edilizia ancora più selvaggia sotto le pessime amministrazioni democristiane: quartieri su quartieri costruiti con la stessa sequenza strade-case-strade-case».Ma una lettura tutta centrata su questo Dna di disordine e di anarchia non finisce per avvalorare un giudizio che è spesso anche un pregiudizio: quello di Roma città ingovernabile? Nella storia della città ci sono grandi sindaci, da Nathan a Petroselli e anche amministrazioni che hanno lasciato un buon segno, non trova?«Ernesto Nathan è stato sicuramente il più grande sindaco nella storia di Roma, ma appartiene ad una stagione non paragonabile all’attuale. L’ultima amministrazione che ha ben operato è stata quella di Rutelli e in parte quella di Veltroni, ma siamo fermi a più di venti anni fa. Da allora, con il disastroso Alemanno e con Virginia Raggi, è stata una processione di fallimenti».Sin da quando divenne capitale, Roma è stata una capitale «malamata», in particolare dalle altre ex grandi capitali, gelose del primato romano – Torino, Milano, Venezia, Firenze, Napoli. Ma anche gli intellettuali che ci hanno vissuto l’hanno disprezzata: a metà degli Anni Settanta uscì un libro «Contro Roma» con interventi impietosi di Moravia, Soldati, Parise, anche se Dacia Maraini si distinse, scrivendo: «Viviamo tutti come talpe e ci stupiamo che Roma venga smembrata, distrutta, venduta. La colpa è anche nostra che non ce ne occupiamo abbastanza».«Aveva ragione Dacia Maraini. Ma i cosiddetti intellettuali ormai non sono più uno stimolo sociale, come lo sono stati nei decenni scorsi: si sono ritirati come chioccioline nel loro guscio. Ma questo non riguarda Roma: riguarda lo spirito del tempo».Il sindaco Gualtieri è un intellettuale: per molti anni ha fatto lo storico all’Istituto Gramsci: è disposto a dargli fiducia?«Roberto Gualtieri è una brava persona e probabilmente ha ragione quando dice che ci sono in campo interessi sordidi e forti. Ma a me pare che il sindaco si trova affiancato da un’amministrazione oramai incapace di reagire. Come ha confermato la recente vicenda degli spazzini: è bastato avanzare l’ipotesi di una visita fiscale e dalla sera alla mattina diversi di loro sono guariti. È un’amministrazione sfasciata, priva di un’ orgoglio municipale. No, non sono ottimista». —