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 2022  luglio 13 Mercoledì calendario

Intervista a Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi dice tre cose d’impulso, come se gli stessero da un pezzo sulla punta della lingua. La prima: «Mario Draghi sarà l’ultimo presidente del Consiglio di questa legislatura, ma si può andare avanti anche senza i Cinque Stelle». La seconda: «Il campo largo ormai mi sembra un campo santo». La terza: «L’idea di un grande centro mi fa sorridere, il voto non ci fa paura». Sistemati tutti. E lui? Protagonista del più lungo crepuscolo degli Dei della storia repubblicana, il Cavaliere risponde per iscritto alle domande de La Stampa con la plateale soddisfazione di chi è stato capace per l’ennesima volta di mettersi al centro del micragnoso dibattito quotidiano, semplicemente evocando una verifica nella maggioranza di governo. Un colpo astuto, narcisisticamente, e forse anche sostanzialmente, non irrilevante, che segna per sempre la fine del rapporto innaturale con quel che resta del grillismo. Potrebbe infierire su Conte, il Cavaliere. Ma ormai fa finta di nulla, considerando scomoda qualunque forma di risentimento. O forse ritenendo il leader pentastellato un uomo che vive di “grazie mille-non c’è di che” e che ha attraversato la scena pubblica come una meteora. Mentre lui non passa mai e si diverte a blandire gli elettori (ex?) dell’Avvocato del Popolo. «La loro insofferenza verso un certo tipo di politica è anche la mia». Chissà che non riesca a convincerne qualcuno. Perché se guarda all’autunno, Silvio Berlusconi fiuta per il Paese l’atmosfera di un disastro senza limiti e, forse, di un nuovo piccolo successo personale.
PUBBLICITÀPresidente, questo governo è ai titoli di coda?
«Non dipende certo da noi. Siamo stati i primi a volerlo e abbiamo assunto l’impegno di sostenerlo lealmente fino al 2023. Non cambiamo certamente idea. Però non è possibile che un governo vada avanti se ogni giorno una delle maggiori forze politiche che dovrebbero sostenerlo si dissocia fino a non votare provvedimenti essenziali. Per questo ho chiesto un chiarimento che non è più differibile. Se i Cinque Stelle sono ancora nel perimetro della maggioranza si comportino di conseguenza. Se non lo sono più, lo dicano chiaramente».
Sbaglia Draghi a dire (e ribadire): senza M5S questo governo non c’è?
«Non sta a me naturalmente valutare le parole del presidente Draghi. Sono scelte che spettano solo a lui. Per quanto ci riguarda posso dire che i numeri consentono di continuare a governare in ogni caso. E che ovviamente questa è l’ultima volta che parteciperemo a un governo con i Cinque Stelle».
PUBBLICITÀÈ stato il presidente Mattarella a varare il governo di “unità nazionale”. Senza i Cinque Stelle quell’unità non ci sarebbe più nei fatti.
«Siamo molto grati al Presidente Mattarella per aver dato vita ad un governo all’altezza della situazione in un momento drammatico dal punto di vista economico e sanitario. Era quello che noi per primi avevamo chiesto. Ero convinto che tutte le forze politiche che avevano accettato di farne parte avessero compiuto un gesto di responsabilità e di maturità, nell’interesse del Paese, mettendo da parte per l’intera legislatura calcoli elettorali e tattiche da teatrino della politica, che in una stagione così grave non ci possiamo permettere. Purtroppo capisco che non è così. I Cinque Stelle rischiano di fallire ancora una volta l’esame di maturità».
C’è aria di elezioni anticipate.
«Mi auguro di no, ma se accadesse noi siamo pronti. I sondaggi sono in continua crescita e ci danno ormai stabilmente in doppia cifra. E naturalmente puntiamo ad andare molto più in là. In queste settimane con i miei collaboratori sto mettendo a punto il programma elettorale con il quale ci presenteremo agli italiani».
Inflazione, caro bollette, distruzione del potere d’acquisto dei salari, guerra in Ucraina, fondi del Pnrr da gestire. È accettabile mandare il governo a casa in questo scenario da Apocalisse?
«La situazione è gravissima. Il Covid sta rialzando la testa, abbiamo la guerra in Europa quasi alle porte di casa, l’inflazione erode i risparmi, il costo dell’energia e delle materie prime rischia di mettere in ginocchio famiglie e imprese. Noi davvero vogliamo affrontare mesi di paralisi invece di lavorare ogni giorno seriamente per affrontare le emergenze? Chi sta mettendo in pericolo la stabilità del Paese dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza».
Presidente, salario minimo sì o no?
«È una proposta che non mi ha mai convinto. Come hanno spiegato autorevoli economisti, in certi casi può addirittura peggiorare le condizioni del lavoratore, perché la paga orario non è l’unico aspetto di un contratto di lavoro. Naturalmente ho ben chiaro il fatto che in Italia gli stipendi e i salari sono troppo bassi, ma la strada per uscirne, che abbiamo indicato da tempo, si chiama taglio del cuneo fiscale, in modo da lasciare più risorse alle aziende ma soprattutto ai dipendenti. Dunque sì a provvedimenti per far crescere i salari, ma sono molto perplesso sul salario minimo che, come tutte le misure dirigiste, non risolverebbe i problemi».
Le dico l’impressione che fa da fuori la sua scelta di chiedere una verifica sulla maggioranza: il governo traballa e Berlusconi chiama le guardie azzurre per difendere il Palazzo.
«Non c’è nessun Palazzo da difendere. C’è da difendere il lavoro che con spirito di sacrificio e senso di responsabilità stiamo facendo per il Paese, anche accettando una formula politica che per noi è del tutto innaturale».
Perché il Pd dovrebbe restare schiacciato in un esecutivo con Lega e Forza Italia?
«Il Pd spesso si atteggia a forza politica responsabile, istituzionale, credibile. Stavolta ha l’occasione di dimostrarlo. Vedremo se a Enrico Letta e ai suoi sta più a cuore il futuro del Paese o quello del campo largo. Che poi, viste le prospettive dei Cinque Stelle, somiglia sempre più a un camposanto».
Mariastella Gelmini ha invocato l’agenda Draghi anche dopo il voto. Condivide?
«Veramente sono stato io, già da molti mesi, a dire in tante occasioni che il valore dell’esperienza del governo Draghi andrà mantenuto e continuato anche nella prossima legislatura. Ciò non significa naturalmente che sia ripetibile la formula politica che ha dato vita a questo governo. Sarà il centro-destra a doversene fare carico».
Presidente, lei ci crede a questa storia di Draghi che avrebbe chiesto a Grillo la testa di Conte?
«Posso dirle che la cosa non mi interessa affatto? In ogni caso dubito che il Presidente del Consiglio entri in modo così irrituale nella vita di una forza politica che lo sostiene».
Conte è politicamente finito?
«Non è nel mio stile dare giudizi personali».
La rendo impersonale: i 5 Stelle sono finiti?
«I Cinque Stelle sono stati una risposta – importante nei numeri, ma sbagliata nei contenuti e nel linguaggio – a un problema vero, quello della crisi della rappresentanza politica. Purtroppo, come avevamo detto dal principio, il ribellismo senza cultura politica, senza programmi, senza altre idee che non fossero confusa antipolitica o qualche vecchio slogan della sinistra estrema, non offriva nessuna prospettiva di cambiamento vera. Ovviamente non hanno alcun futuro e alcuna prospettiva, tanto è vero che la parte più avveduta politicamente li ha lasciati. La loro disgregazione non ci consente però di dimenticare una cosa importante. Un terzo degli italiani in qualche momento ha affidato a loro una speranza di cambiamento. Questi elettori meritano rispetto. La loro insofferenza verso un certo tipo di politica è anche la mia, anche se naturalmente le risposte sono diverse. I tanti che hanno votato Cinque Stelle, per disperazione piuttosto che per convinzione, come i tanti che oggi si astengono dal voto, sono cittadini ai quali la politica dovrebbe offrire qualcosa di diverso, qualcosa in cui credere davvero. Una buona politica è la risposta all’astensionismo come alla nascita di movimenti ribellisti. Forza Italia è nata proprio per questo. Per cambiare la politica in modo serio e con persone serie».
Ricorda quando disse: a Di Battista e Di Maio non farei neanche pulire i bagni di Mediaset?
«Prima di tutto non ho mai fatto questi nomi, la mia era una osservazione scherzosa riferita in generale agli eletti del Movimento Cinque Stelle. Ovviamente non la rifarei perché a una battuta fatta in un contesto informale è stata data la dignità di una considerazione politica. Mi riferivo comunque al fatto che molti dei loro candidati non avevano alcun curriculum, non avevano mai fatto un lavoro serio, non avevano mai fatto neppure una dichiarazione dei redditi. Come si poteva pensare di mettere nelle loro mani il futuro del Paese? E in effetti i risultati si vedono. Al di là delle qualità individuali, che ad alcuni di loro non mancano, rimane il fatto che la loro inesperienza e incompetenza in molti casi ha avuto gravi effetti non solo per loro stessi ma per il Paese».
Se lo immagina un Grande Centro senza di lei?
«L’idea di un Grande Centro mi fa sorridere. Sarebbe l’ennesimo centro piccolo piccolo, affollato di leader senza seguito nel Paese, che avrebbero come unico obiettivo unificante quello di tentare di non farci raggiungere la maggioranza e poi di contrattare con la sinistra dopo le elezioni. Naturalmente un tentativo del genere sarebbe destinato a fallire. Chi volesse davvero costruire un centro forte, credibile, di cultura liberale, cristiana, europeista, garantista, nel solco del Ppe può farlo con noi. Il mio invito rimane sempre valido».
Sala, sindaco di Milano, ha la statura per fare il leader nazionale?
«Sala si è da poco fatto rieleggere sindaco di Milano. Farebbe bene a concentrarsi sui tanti problemi della città, anche perché da un manager della sua storia e del suo prestigio mi sarei atteso una qualità dell’azione amministrativa decisamente migliore».
Se Meloni fosse la più votata del centrodestra alle prossime elezioni, Palazzo Chigi toccherebbe a lei?
«Non credo che discutere di questo un anno prima sia molto utile. Pensiamo a vincere le elezioni proponendo agli italiani un governo serio, credibile, autorevole in Europa e nel mondo. Alla fine del percorso, non certo all’inizio, individueremo insieme la figura con il profilo più adeguato».
Provo in un altro modo: l’Europa accetterebbe Meloni a Palazzo Chigi?
«L’Europa non sceglie il nostro Presidente del Consiglio. È una prerogativa che spetta esclusivamente al Capo dello Stato, sulla base delle scelte del corpo elettorale. L’Europa si attende un governo autorevole e credibile, chiaro nelle scelte di politica internazionale, dotato di adeguate credenziali europeiste e atlantiche. Un governo di profilo liberale del quale noi siamo i garanti. Per questo il ruolo di Forza Italia è determinante, non solo dal punto di vista numerico».
Prima della fine dell’estate Palazzo Chigi avrà un altro inquilino?
«Mario Draghi sarà l’ultimo presidente del Consiglio di questa legislatura».
La cito: nel 2023 torno in campo e Forza Italia prende più del 20%. Fosse così, farebbe lei il premier?
«Confermo l’obiettivo. Io sono sempre a disposizione del mio Paese ma oggi il mio compito è un altro».
Presidente, per chiudere una cosa più leggera. Cavani o Icardi per il Monza?
«I nomi si fanno solo quando i calciatori sono già acquistati. Posso dire che i nostri obiettivi sono diversi ma non meno ambiziosi. Il Monza mi ha dato la più bella soddisfazione calcistica della mia vita, con la promozione in serie A e la passione, l’entusiasmo, l’affetto di un’intera città che aspettava questo evento da 110 anni. Eppure sono a tutt’oggi nel mondo la persona che ha vinto il maggior numero di titoli nazionali e internazionali come Presidente di Club. Ora il Monza è in serie A non solo per restarci, come questa città merita, ma per battersi alla pari contro le maggiori squadre italiane e chissà, in futuro, anche europee. Con Adriano Galliani e gli altri dirigenti stiamo lavorando molto bene per costruire questa squadra».