Corriere della Sera, 12 luglio 2022
Le agende di Gulielmo Mollicone, il papà di Serena
Lui la sognava ancora bambina, nei sogni l’orrore puoi riuscire a tenerlo fuori: «Contemplo nel muto lettino nascosto, le pieghe d’un tempo, le gote tue dolci...», scriveva il padre pensando alla figlia, facendosi forza col cuore che gli scoppiava. A chi l’andava a trovare, nei pomeriggi su a Rocca d’Arce, dove tira un vento fresco anche d’estate, Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, regalava le sue poesie e i suoi sorrisi tristi: «Ti cullo mio angelo dolce, partita per lidi lontani, ti canto le vecchie canzoni, le nenie per farti dormire».
Tutto si era spezzato ormai molti anni prima, il 3 giugno del 2001, la data del ritrovamento: fosso dell’Anitrella, tra Arce e Isola Liri. Lei era stesa esanime per terra, legata a un albero con del fil di ferro, una busta di plastica in testa, la bocca e gli occhi ricoperti di nastro isolante: 16 metri di nastro di marca Ghost. Ghost in inglese vuol dire «fantasma», com’è stata finora in questi 21 anni la verità.
Le giornate di Guglielmo erano tutte uguali: i cani, i canarini e i pappagalli erano diventati la sua più grande compagnia. «Vedete quanti uccelli che ho? – diceva —. I primi li comprai quando morì mia moglie, Bernardina, nell’89. Per sentirmi meno solo. Poi è stato tutto un susseguirsi di dolore». Nell’arco del giorno, un solo appuntamento non mancava mai: spesso al tramonto, andava al cimitero a trovare moglie e figlia e restava là dei minuti in silenzio. Poi tornava a casa e scriveva: «Dormi, mio angelo biondo, accanto a colei che amo, ricordale tutte le sere i nostri discorsi di vita...». Adesso che è in una tomba accanto a loro, finalmente le ha ritrovate.
Lo incontrammo fuori dal cimitero di Rocca d’Arce una settimana dopo il rinvenimento del cadavere di sua figlia. Era sconvolto: «Sono appena tornato dai carabinieri, mi hanno preso le impronte – ci disse —. Ho la sensazione che qualcuno mi voglia incastrare, qualcuno che l’altra notte durante la veglia in chiesa per Serena si è intrufolato in casa e ha rimesso a posto in un cassetto il telefonino di mia figlia che era scomparso».
Si sentiva umiliato per quel prelievo d’impronte, così come dall’affronto orrendo del giorno del funerale, quando i carabinieri del maresciallo di Arce, Franco Mottola, entrarono in chiesa e si avvicinarono felpati alla prima fila per sussurrargli di alzarsi e seguirli in caserma, con un’ombra inevitabile e gigantesca che subito si posò su di lui, ancora chino sulla bara bianca. Umiliazioni e bocconi amari che non gli hanno mai tolto il sorriso, malgrado tutto, così Guglielmo ha cercato giustizia per Serena fino all’ultimo giorno della sua vita. E il destino, anzi, ora sembra volergli servire sul piatto la rivincita.
L’ex maestro elementare e cartolaio di Arce è morto a 72 anni il 31 maggio del 2020, dopo sei mesi di coma, colpito da un infarto a casa sua, mentre aspettava notizie dal Tribunale di Cassino, dov’era in corso l’udienza preliminare che poi ha mandato a processo gli ultimi 5 accusati per il delitto di Serena, dopo oltre un ventennio attraversato da mille piste, squadre antimostro, errori giudiziari (il carrozziere Carmine Belli, condannato e poi scarcerato nel 2004).
Ora alla sbarra c’è proprio l’ex maresciallo di Arce, Franco Mottola, insieme alla moglie Annamaria, al figlio Marco e ad altri due carabinieri della caserma. Il processo è quasi finito, di ieri le ultime arringhe dei difensori che hanno invocato per i Mottola l’assoluzione piena («Dai pm accuse prive di logica») mentre l’accusa ha chiesto di condannare l’ex maresciallo a 30 anni per omicidio e occultamento di cadavere, a 24 suo figlio e a 21 la moglie. La sentenza sarà venerdì. E Guglielmo, sì, ci sarà idealmente anche lui nell’aula della Corte d’Assise di Cassino, nei cuori e nelle menti di chi l’ha conosciuto. Con quei versi scritti su fogli volanti di diario e dedicati a Serena, per sempre: «A te io affido gli sforzi del tempo, i mille pensieri d’un vago futuro».