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 2022  luglio 12 Martedì calendario

Un pensionato su tre campa con meno di mille euro al mese

Lavoro povero significa pensione povera. Gli «strappi vistosi» nella distribuzione dei redditi registrati in questi anni e decenni – come li ha definiti ieri il presidente dell’Inps Pasquale Tridico presentando alla Camera il XXI Rapporto annuale Inps, alla presenza del ministro del Lavoro Andrea Orlando e del capo dello Stato Sergio Mattarella – hanno innescato una «diseguaglianza pervasiva» che attraversa generi, età,cittadinanza e territori. E una «decrescita salariale» drammatica.
Il lavoro povero
Ecco che 4,3 milioni di lavoratori, il 28%, sono sotto la soglia dei 9 euro lordi all’ora. Uno su tre guadagna meno di mille euro al mese, proprio come i pensionati. E le donne? Incassano, rispetto agli uomini, 4 mila euro in media all’anno quando lavorano (-25%) che diventano 6 mila euro da pensionate (-37%). D’altro canto, il 46% di loro è a part-time, quasi sempre involontario, record europeo. Lavorano meno ore, meno settimane, meno anni, vengono pagate meno e maturano contributi più bassi.
Il record dei precari
La crisi Covid – «shock negativo e inatteso» – è stata «riassorbita», dice Tridico. Grazie ai 60 miliardi pubblici distribuiti a 15,7 milioni di italiani che hanno evitato tagli del 55% superiori ai redditi. Il tasso di occupazione è risalito e sfiora il record italiano del 60%, ma non il target europeo del 70%. Solo la metà delle donne lavora, la galassia degli impieghi precari ha raggiunto il picco storico di oltre 4,2 milioni di lavoratori, il 22%.
L’impennata dei “part-year”
Nel 2021 non c’è stata la temuta valanga di licenziamenti, ma il record di dimissioni volontarie per cambiare impiego e forse vita, «fenomeno fisiologico» per l’Inps, dopo il blocco Covid. Il 60% ha trovato un nuovo posto entro 3-6 mesi. Il part-time non è aumentato, seppure a livelli alti.
Si impennano però i “part-year” (+17% sul 2019, pre-crisi), lavoratori impegnati meno di 12 mesi: 9,5 milioni, metà dei dipendenti, molti di più dei 3 milioni ancora in Cig (dimezzati rispetto al 2020) e per questo giustificati. I part-year a tempo indeterminato sono 1,8 milioni (+20%), quelli a tempo determinato 2 milioni (+1%).
Retribuzioni e contratti
In media 24 mila euro nel 2021, ma con differenze abissali. Il full time- full year – chi lavora tutto l’anno e a tempo pieno – prende l’80% in più del part year-part time, solo qualche mese all’anno e a orario ridotto: 38 mila contro 7.900 eurolordi. Ci sono 1.011 contratti nazionali in Italia, «troppi e spesso non rappresentativi», dice Tridico. In 27 coprono il 78% dei lavoratori (10 milioni), in 95 arrivano al 96% dei dipendenti (12,5 milioni). Il resto sono contratti pirata. Non basta questo però a spiegare la differenza nelle paghe orarie, spesso basse anche in contratti più garantisti. Nel settore di “acconciature, estetica e benessere”, l’84% dei dipendenti è donna, il 62% a part-time, la retribuzione media giornaliera di soli 50 euro contro i 123 euro del settore chimico e i 157 del settore di banche e assicurazioni. «Il 64,5% degli addetti in alberghi e ristoranti è povero a fronte del 5% del settore finanziario», dice Tridico. «Occorre considerare precarietà e bassi salari una questione prioritaria e di dignità».
I bonus contributivi
Hanno funzionato, creando nuova occupazione, quelli «mirati su target e gruppi di individui specifici», come gli sconti contributivi per giovani, donne e apprendisti. Meno bene la “decontribuzione Sud”, il taglio del 30% del cuneo fiscale per tutti i lavoratori del Mezzogiorno (non solo i neoassunti): «Impatto occupazione molto contenuto». Nel 2021 le aziende hanno beneficiato, grazie a questi incentivi, di 20 miliardi.
Le pensioni
L’anno scorso sono state erogate 22 milioni di pensioni per 312 miliardi a 16 milioni di pensionati (c’è chi ne ha più d’una). Ma se le donne sono il 52% dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici: 1.374 euro in media contro 1.884 degli uomini.
Il 40% dei pensionati è sotto i 12 mila euro all’anno, meno di mille euro al mese. Ma grazie alle maggiorazioni, all’assegno sociale e all’integrazione al minimo si scende al 32%, uno su tre.
La generazione X
Chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 (totalmente contributivo) rischia di diventare un pensionato povero. La classe 1977-1980 nei primi 15 anni ha accumulato 5 anni di buchi contributivi che possono diventare 10 in 30 anni di vita lavorativa attiva. Se avesse avuto un salario minimo da 9 euro all’ora – ipotizza Inps – la sua pensione aumenterebbe del 10%, arrivando a 750 euro al mese, quasi quanto il Reddito di cittadinanza.