il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2022
Renzi e i rapporti con Uber
“Uber è un servizio straordinario, l’ho provato a New York, ne parleremo la prossima settimana”. Era il 22 maggio 2014 quando l’allora premier Matteo Renzi parlava così della società americana che offre servizi di trasporto urbano con autista privato. Grazie a un’inchiesta internazionale coordinata dal consorzio Icij, pubblicata in Italia da L’Espresso, ora si scopre che in quegli anni il servizio offerto da Uber (nel frattempo tutto il management è stato sostituito) era davvero straordinario, ma non in senso positivo. Lavoratori sfruttati, accordi con banchieri russi vicini a Vladimir Putin, e una capillare attività di lobbying realizzata in giro per il mondo per ottenere leggi favorevoli al proprio business. È tutto contenuto nelle 124 mila email interne alla multinazionale che, tra i vari governi dell’epoca, aveva puntato anche su quello italiano. “Operation Renzi”: i manager di Uber avevano chiamato così la strategia mirata a condizionare l’allora premier e il suo governo per varare norme favorevoli all’azienda. “Non c’è nessuna legge a favore di Uber. Ma non c’è neanche alcun tipo di incontro”, dice oggi il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Che aggiunge: “L’ex ceo (Travis Kalanick, ndr) chiede a me un appuntamento che non gli ho dato. (…) Le norme sul trasporto pubblico in cui loro volevano inserirsi non furono approvate”.
Ma c’è stato un momento – ha ricostruito Il Fatto – in cui, durante il governo Renzi (2014-2016), il Parlamento stava per varare una norma che avrebbe potuto avvantaggiare Uber. Era il marzo del 2016 e al Senato era in discussione il ddl Concorrenza. L’allora parlamentare Pd, Linda Lanzillotta, insieme ad altri colleghi, propose un emendamento per ritardare l’entrata in vigore di una norma che limitava i servizi di noleggio con conducente. Alla fine l’emendamento fu ritirato. “L’iniziativa – spiega Lanzillotta – non era frutto di pressioni indebite da parte di Uber: io ho parlato diverse volte con persone della società che sono venute a raccontarmi che cosa faceva Uber, ma non ho mai preso finanziamenti. Quell’emendamento rappresentava il tentativo di offrire un vantaggio ai cittadini e poi fu ritirato: ci fu un accordo con i tassisti secondo il quale, a fronte del ritiro dell’emendamento, il governo veniva delegato a riformare il settore prevedendo tra le altre cose l’ampliamento delle piattaforme elettroniche. Ma non mi risulta che questa delega sia stata effettivamente esercitata”. Abbiamo chiesto chiarimenti anche a Graziano Delrio, allora ministro dei Trasporti. “Da anni vi era una discussione sulle modifiche delle regole del trasposto”, spiega il dem. Ci furono pressioni da parte di Uber? “Avranno fatto conoscere le loro ragioni come altri, ma non ha mai ricevuto pressioni né è mai stato approvato alcun provvedimento per loro”.
Porte girevoli
Jim Messina e Gabriele De Giorgi
Secondo L’Espresso, uno dei punti più importanti della cosiddetta “Operation Renzi” porta il nome di Jim Messina. Ex vice capo dello staff presidenziale di Obama, Messina nel 2013 è stato assunto dalla multinazionale come lobbista internazionale. Il punto è che mentre lavorava per Uber, nel 2016 era anche consulente politico di Renzi. Un doppio ruolo finora inedito. Diversa, invece, la parabola di Gabriele De Giorgi, ma comunque a cavallo tra politica e Uber. Consulente di Renzi alle primarie del centrosinistra del 2012 (poi vinte da Bersani), poi capo di gabinetto del sottosegretario Domenico Manzione (governo Renzi), infine consigliere politico dell’allora premier Paolo Gentiloni, De Giorgi è oggi il responsabile delle relazioni istituzionali di Uber per Italia, Malta e Grecia. Un posto di lavoro ottenuto nel 2018, quando in Italia era insediato il governo giallo-verde e Travis Kalanick, ex capo di Uber, era già stato sostituito.
L’incontro da De Benedetti
E il giallo della mail al ministro
Negli “Uber files” si fa riferimento anche a Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica e oggi di Domani. Dal 2015 al 2020 l’ingegnere è stato azionista di Uber. E sempre nel 2015, dunque all’inizio dell’investimento (la società allora non era quotata), si è tenuta una cena nella sua residenza romana con i rappresentanti della multinazionale: David Plouffe, già organizzatore della campagna elettorale di Obama nel 2008, e Mark MacGann, la fonte dello scoop dell’Icij che in quel momento era responsabile delle politiche aziendali in Europa di Uber. Secondo L’Espresso, nei messaggi di quel periodo tra i dirigenti del colosso, De Benedetti viene descritto come “uomo d’affari ‘deciso e capace di supportare’ gli sforzi della multinazionale per ottenere leggi favorevoli dal governo Renzi”. Non solo. Il settimanale fa anche riferimento a una circostanza che sarebbe avvenuta nel gennaio 2016, quando un manager del colosso avrebbe trascritto alcune frasi di una email inviata da De Benedetti in sua presenza a un ministro del governo Renzi. Un messaggio nel quale l’ingegnere avrebbe definito Uber “simbolo della modernità”. De Benedetti ha confermato al Guardian la cena, spiegando che oltre a Plouffe e MacGann era presente anche l’allora direttore generale di Uber Italia, Carlo Tursi. E ha spiegato di non aver “mai fatto operazioni di lobbying insieme a loro né con altri”. Ieri il Fatto gli ha chiesto conto della presunta mail inviata a un ministro: l’ingegnere ha fatto sapere di non ricordare nulla. Abbiamo chiesto anche a Delrio: “Non ho ricordi particolari di mail ricevute da De Benedetti”, ha assicurato.