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 2022  luglio 11 Lunedì calendario

A quarant’anni dal Mundial

Cosa resterà di questo ’82? Dell’ 11 luglio che riviviamo come un felice giorno della marmotta, e ancora, e ancora? Perché e per quanto resteremo aggrappati al ricordo? Questo forse penultimo sussulto di nostalgia, al di là dell’anniversario rotondo, ha una spiegazione contingente e un’altra generazionale. La prima risponde alla funzione sostitutiva. In un regolare corso del destino avremmo trascorso l’ultimo mese a guardare i Mondiali di calcio 2022. Nel dibattito pubblico e nella nuvola di parole più presenti su Internet, Ucraina, Draghi, Covid sarebbero state scalzate da Di Lorenzo, Immobile, Scamacca. Nel mondo ormai superato i Mondiali cominciavano a giugno e l’Italia li giocava. A novembre e senza maglie azzurre è una sventura cui tocca arrendersi, consapevoli di averla da un lato causata e dall’altro di essercisi sottomessi per tornaconto. E allora vai con la più grande differita della storia, la più ampia produzione contemporanea di documentari monotematici. L’82 è diventata una favola, ma chi c’era non la racconta a chi è arrivato dopo, la racconta a se stesso. Come potremmo riguardare all’infinito la scena della lettera scritta da Totò e Peppino e trovare nuovi motivi per ridere, così con le partite dell’82 troviamo nuove ragioni per gioire e commuoverci, specialmente adesso che si è aggiunto il senso della fine e alcuni dei protagonisti hanno maglie sfumate e sorrisi velati.
Il legame con quella vittoria resta in parte un mistero, anche personale. Ero a Berlino nel 2006, sono saltato sui banchi della tribuna stampa al gol di Grosso, ho fatto l’alba con un branco di sconosciuti cantando: “Au revoir Zinedine Zidane” su musica dei Coldplay sotto la porta di Brandeburgo. Eppure se mi chiedessero qual è il Mondiale della mia vita risponderei senza esitare: quello dell’82. Vale per molti di quelli che hanno avuto la fortuna di fare “ambo”, per la maggioranza, forse schiacciante. Ci sono una ragione collettiva e una particolare. La prima riguarda noi che assistevamo, la seconda loro che giocavano.
Per noi il ’34 e il ’38 non sono mai veramente esistiti. Troppo lontani, troppo legati a un periodo italiano di cui non andare fieri. L’assenza della televisione ha forzato l’oblio. L’82 è stata la prima vittoria non solo condivisa, ma anche sbattuta in faccia al mondo con la mondovisione. Sfumata nel’70, quando avevamo Riva, Rivera e gli altri, chi pensava più che avremmo avuto un’altra occasione? Tra i 18 anni di Bergomi e i 40 di Zoff ci siamo concessi il lusso dell’identificazione e perfino della rivendicazione. Mai come allora “abbiamo vinto”, ma anche tutti gli altri hanno partecipato.
Che cosa avevano di speciale quelli che andarono in campo? È stato usato il termine “eroi”. Un’esagerazione, per difetto. Furono “supereroi”. L’eroe possiede una virtù e la mostra per tutto il corso della sua esistenza, sublimandola solitamente in una altrettanto eroica morte. Il supereroe appare sulla scena come un individuo comune, anzi rivela spesso un difetto, se non una menomazione, poi subisce una trasformazione e rende il proprio limite un potere, diventando invincibile. Così una banda di giocatori ripudiati a mezzo stampa dal Paese trasse da quell’errore di valutazione la forza per esprimersi. Il modo in cui lo fece fu talmente straordinario da legare per sempre nomi e immagini al momento dell’impresa. Non fu una sineddoche, una parte per il tutto, fu una parte fuori dal tutto. Hanno avuto carriere lunghe e ricche di successi, ma Gentile sarà per sempre LA MARCATURA di Maradona e Zico, Rossi la TRIPLETTA al Brasile, Zoff LA PARATA sulla linea al minuto 89, e Tardelli, benché indiscutibile MVP del mondiale, l’URLO.
Il senno di poi e la necessità di risarcimento hanno caricato di effetti spropositati quel risultato. Nelle testimonianze di questa differita si è sentito spesso parlare di “rinascita di una nazione”, “uscita dagli anni di piombo”, “nuovo miracolo italiano”. La storiografia ricerca il “punto critico” o “di ebollizione”, il livello oltre il quale un cambiamento diventa inarrestabile. Si danna per trovare il detonatore in un fatto non direttamente collegato all’esplosione. Finisce spesso per restare sedotta dall’estetica della trama, facendo scelte da romanziere. Certo, è bello pensare che la svolta sia in un capitolo dei più riusciti, ma è anche vero? Raramente un evento sportivo ha avuto ricadute, nel bene o nel male. La crisi brasiliana era già prevedibile prima dell’1 a 7 contro la Germania e all’estate d’oro italiana del 2021, quella con il “cigno nero” nei 100 metri, è seguito nulla più che l’inverno del nostro scontento.
I trionfi, come le vite, durano finché qualcuno le ricorda. Italia-Germania 4-3 è già stata sostituita da Italia-Brasile 3-2. Ci sarà ancora il cinquantesimo anniversario, ma fra 10 anni si disputeranno in contemporanea anche gli Europei (salvo li appaltino all’Arabia Saudita) e il presente esigerà tutta l’attenzione anche se, lo sapremo ma non lo diremo, niente sarà mai più come l’82.