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 2022  luglio 11 Lunedì calendario

A Roma si cercano sbocchi per la spazzatura

Per fare prima – altro che accidia capitolina, sui rifiuti a Roma l’emergenza costringe a sbrigarsi – in Campidoglio hanno deciso di chiamarli «sbocchi». Va a fuoco un impianto di trattamento dell’immondizia? Si cercano in fretta e furia «sbocchi» per rimpiazzarlo e trovare sistemazione da un giorno all’altro a decine di migliaia di tonnellate di spazzatura. Un altro sito si blocca per la manutenzione o finisce sotto sequestro? Servono subito nuovi «sbocchi». Funziona così da quando Roberto Gualtieri è il sindaco della Capitale. O meglio, dal 2013. Da quando la chiusura della discarica di Malagrotta ha lasciato Roma sguarnita.
Senza il gigante a due passi dall’aeroporto di Fiumicino, il buco che quotidianamente ingurgitava gli scarti della Città Eterna e pure di quella Santa, del Vaticano, il sistema è andato in tilt. Al resto hanno pensato le turbolenze politiche: il brusco stop della consiliatura Marino, il commissariamento e poi cinque anni e mezzo di immobilismo targati Raggi hanno consegnato l’Urbe a un’emergenza apparentemente insanabile. A una perenne fame di «sbocchi». La sensazione, specie nell’estate più calda di cui si abbia memoria dalle parti del Colosseo, è che la Capitale sia incastrata in un infinito (quanto maleodorante) gioco dell’oca. Per rendersi conto delle sue dimensioni, bisogna affidarsi ai numeri. Ogni giorno Roma produce circa 3.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati. Il loro smaltimento costa quasi 200 milioni di euro all’anno. Perché il ciclo dei rifiuti capitolino è ormai un affare per privati. Ama, l’azienda che si occupa dell’immondizia dei romani, ha un solo impianto a disposizione a Rocca Cencia, estrema periferia Est. Per il resto, il Comune deve rivolgersi a chi ha costruito le proprie fortune sulla spazzatura. Prima di tutto a Manlio Cerroni. Proprietario dell’ex discarica di Malagrotta, a 95 anni “il Supremo” è ancora tra i player più importanti del settore con siti di trattamento e smaltimento a Roma, nell’hinterland (da Albano a Guidonia) e a Viterbo. Lo insegue Fabio Altissimi, proprietario della Rida di Aprilia in continua contrapposizione con la Regione per la realizzazione di una discarica per il suo impianto in provincia di Latina.
Imprenditori con fatturati milionari, perché i rifiuti di Roma possono valere anche più di 200 euro a tonnellata. Lo sanno bene anche fuori dal Lazio: la Capitale spedisce i suoi tir (presto sarà la volta del gran ritorno dei treni) anche fuori regione. Se non all’estero. Tra le destinazioni ci sono Bologna e Torino, l’Olanda e la Germania. Città e Stati che hanno in quantità ciò di cui è disperatamente carente Roma: discariche e inceneritori.
Gualtieri lo ha detto anche ieri. L’assenza di impianti nell’Urbe è «vergognosa». Per scacciare via un’eredità tanto imbarazzante, il Comune presenterà presto un piano che prevede la realizzazione di due biodigestori, impianti per carta e plastica. E, soprattutto, il termovalorizzatore. Quando è stata annunciata – asorpresa – l’idea di realizzare un impianto del genere ha scosso gli equilibri del cent rosinistra romano. Ma, a quanto pare, ha convinto il premier Mario Draghi: tra i poteri che il governo ha conferito al sindaco in veste di commissario del Giubileo del 2025 ci sono anche quelli che gli permetteranno di puntare su un inceneritore di ultima generazione capace di trattare 600 mila tonnellate all’anno di immondizia.
Una concessione contrastata con forza dai 5S. «Con la stessa convinzione che avrebbero potuto mostrare quando governavano Roma», si dice per i corridoi di palazzo Senatorio. I cinque anni abbondanti da sindaca della grillina Virginia Raggi sono filati via tra i bisticci con la Regione di Nicola Zingaretti e i continui cambi al vertice di Ama. Nessun impianto realizzato e, nel dicembre 2018, un incendio a spazzare via uno dei due di proprietà dell’azienda del Campidoglio. Un rogo inquietante, al pari di quello che il 15 giugno ha privato Roma di una delle due linee di trattamento, la più importante, del complesso di Malagrotta. Sì, adue passi dalla vecchia discarica.
Immediati – e ancora non recuperati – gli effetti: le periferie nord ed est sono ancora in ginocchio, con i cassonetti stracolmi di rifiuti e circondati da centinaia di sacchetti. A raccoglierli un esercito piuttosto malmesso: in Ama ogni giorno non si presenta al lavoro il 17,7% dei dipendenti, 1.267 su 7.160. In più, come raccontato da Repubblica, da un paio di mesi in azienda fortunatamente si registrano anche miracoli. Le visite mediche ordinate dal nuovo management hanno fatto magicamente guarire da un giorno all’altro 325 spazzini che avevano presentato certificati di inidoneità alla direzione del personale. Cause e concause di un disastro che, come detto, oggi fa felici soltanto i privati. Ai romani spettano soltanto una delle Tari più alte d’Italia ed effetti collaterali bestiali. Dai topi alle blatte, dai gabbiani ai cinghiali con la peste suina, per la città che guarda al Giubileo e sogna Expo i rifiuti sono il guaio numerouno.