La Lettura, 10 luglio 2022
Dicker struggente come Puccini
Anno 1999. Una notte su una spiaggia del New Hampshire ammazzano brutalmente una miss bionda che stravinceva i concorsi di bellezza. Undici anni dopo arriva, nella cittadina teatro degli avvenimenti, Marcus Goldman, lo scrittore di La verità sul caso Harry Quebert, e affianca il suo amico sergente Gahalowood nelle indagini ancora aperte. La storia non è meno intricata e misteriosa dell’affaire Quebert. Il ginevrino Joël Dicker è il più grande scrittore americano vivente, così come lo fu, a suo tempo, il russo Vladimir Nabokov. La sua America, completamente inventata, è più vera di quella vera. Le sue trame somigliano ai sofisticatissimi esperimenti del laboratorio del Cern (che si trova appunto a Ginevra). Però la fisica narrativa di Dicker colpisce emotivamente come l’opera lirica più straziante e struggente (se Puccini avesse scritto romanzi, li avrebbe scritti così). Tante morti, tanti amori, tanto odio e ricatti, furti, macchinazioni, vendette: Il caso Alaska Sanders è una visura catastale dell’universo narrativo. Il nuovo romanzo di Dicker si pone, cronologicamente, come secondo volume della trilogia di cui fanno parte La verità sul caso Harry Quebert e Il libro dei Baltimore. Nelle ultime righe l’autore dà forse appuntamento a una quarta puntata: «Poi Gahalowood aggiunse, questa volta in tono molto serio: “Grazie, scrittore.” “Grazie di cosa?” “Ha riparato la mia vita. Spero un giorno di poterla aiutare a riparare la sua”». Lo stile di Dicker non è povero, come lamenta qualcuno: è essenziale. Quello che Harry Quebert consigliò a Marcus: «Ero nella fase penosa in cui cominci a odiare qualunque cosa abbia a che fare con la scrittura, perché senti che tutto è meglio del tuo lavoro, al punto che persino il menu del ristorante ti sembra scritto con un talento smisurato: Costata di manzo: otto dollari, che maestria!». O preferite i menu in cui chiamano torta di mais la polenta e pesce veloce del Baltico il baccalà? Il voto è quello di Dicker a vita.