la Repubblica, 10 luglio 2022
Perché il Lido racconta l’Italia
C’èuna passione immensa in questo libro: di chi l’ha concepito come un oggetto bello, LivioCassese eRosalbaCanale,di Marsilio che l’ha pubblicato con grande cura, della Biennale che l’ha voluto per l’entusiasmo di cinefiliimplacabilicomeilpresidenteRoberto Cicutto e il direttore della Mostradel Cinema Alberto Barbera. E soprattutto di chi l’ha immaginato pensato, raccolto e scritto, lungo l’ininterrotta passione di una vita, migliaia di film visti e rivisti, cumuli di libri letti e scritti, scatoloni di ritagli e foto, l’archivio privato di un personale lavoro capillare e di altre personalitàvissutedicinema;equelparadiso degli studiosi dove si accumula ogni sapienza, che è il magnifico Archivio Storico dellaBiennale.ImmaginoGianPieroBrunetta, criticoestoricodelcinema,comeunaspecie di antico alchimista che nella buia grotta del tempo e dei cinema, rimesta immense pozioni di sapere da cui scaturirà l’oro: 1328 pagine di una storia meravigliosa con centinaia di immagini, mai affrontata prima nella sua ricca interezza. Ho tra le mani La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1932-2022, non un tosto studio accademico, nonuntestodaconsultarequandonecessario, mauna speciedi ComédieHumainecomposta da una serie di romanzi come fossero diSimenon,unoperognimostraapartire dal suo inizio, il 1932; non novanta ovvio, perchélaguerraveraelerivoluzioniimmaginarie, i capricci dei protagonisti, gli impicci burocratici, le baruffe nei governi, ma non, eroicamente, la pandemia, ne hanno fatte saltare ben 11. Infatti quella di quest’anno sarà la settantanovesima, e tutti ci auguriamo che prosegua fino all’estinzione del pianeta: epoisuMarte.Il volumone non è solo la storia della Mostra, non solo quella di quasi un secolo di film, è soprattutto un ritratto degli italiani, delle nostre virtù e i nostri vizi, del nostro pressapochismoeimpegno,delnostrofibrillare e incendiarsi sul nulla, e l’indignarsi e scontrarsi, e gli oihbò! che oscurano la ragione, e il dimenticarsene subito, amici come prima: vedi il presente politico, ma non divaghiamo. E per esempio, specchio di italianità, del suo genio e della sua pochezza, la ventinovesima Mostra, quella del famoso 1968, che oggi Brunetta giudica «sconclusionata, improvvisata, paragoliardica e distruttiva». Per noi cronisti che pur di sinistra intuivamo il ridicolo della situazione, fu meravigliosa. Gli americani avevano bombardato il Vietnam, i sovietici invaso la Cecoslovacchia, però i nostri cineidoli stavano scontrandosi su un’altra urgenza, nella pace infranta del Lido: tutti d’accordo nel pretendere la decadenza dello statuto fascista, si divisero tra i rivoluzionari che volevano impedire l’inaugurazione eipacifistichelavolevano,piùquelli che prima non la volevano e poi sì e viceversa. Due giorni d’inferno, comitati distudenti, assemblee, occupazioni, sgomberi di umani con annessa poltrona, insulti, scioperi, bombe carta, botte da orbi da parte della Celere e dei gruppi fascisti, gondolieri comunisti incazzati con i compagni registi che li stavano privando di giorni di lavoro. E l’avversario incrollabile, il nemico autoritario, il professor Luigi Chiarini, il direttore che di cinema ne sapeva più di tutti, democristiano più a sinistra della sinistra di oggi, che nonfaceva una piega e riuscì a inaugurare la sua Mostra, tra l’altro bella, con bei film italiani, anche di autori feriti e contusi per aver cercato di impedirla. Risultatoditantocasino,anninoiosissimi, niente Mostra o Mostre senza premi con rassegne del cinema africano, niente mondanità maabbondanzadidocumentarijugoslavi. L’Annus Horribilis è il 2010 come lo definisce Paolo Baratta, il solo Presidente della Biennale a regnare per tre mandati, che ha raccolto la sua esperienza a tratti allucinante inIlGiardinoel’Arsenale, 2021.Quel2010siscoprecheilluogodovefinalmente doveva sorgere il nuovo palazzo del cinema, è invaso dall’amianto, quindi inservibile; si è perduto il nobile grand hotel viscontiano per speculazioni poi fallite, le vecchie salegrondanopioggiaecadonoapezzi. Mostrasulbaratro?Ovviamenteno,specialisti di nozze coi fichi secchi tutto si sistema e oggi possiamo vantare ben 10 sale dove ce neera una. El’annus stupidello?È il 1972, 33ª Mostra, direttore Gian Luigi Rondi ma pure lui democristiano quindi detestato dagli autori anche se lui li ama, in quanto si è deciso chelaculturaèsolo asinistra. Sempreincerca di guai, gli autori italiani lasciano la mostra e organizzano una loro contro mostra a Campo Santa Margherita. Noi cronisti felici, su e giù tra Lido e Venezia, bei film dalle due parti, sequestrati, scippati, scambiati, i nostri ribelli alloggiati negli hotel di massimo lusso, e ancora una volta la rivoluzione non portabuonoallaMostra,chemalgradol’arrivo del nuovo tanto atteso statuto, l’anno dopo nonsifa.Sialternanoigoverni,mailostesso ministro alle inaugurazioni, spesso spaesato e perfino con smoking di velluto blu, tappeto rosso con documentaristi africani e modelle con l’inguine in vista, divi internazionali chealLido sifermano dieciminutiassaliti dai lidensi dietro gli sbarramenti a chiedere autografi e il solo bar vicino preso d’assalto dabelleescortincercadicompagnia.Pubblicodilussoeragazzicolsaccoapelo, vescovi indignati e onorevoli invocanti censura, e massimi protagonisti, sempre, sia i cronisti che estasiati descrivono le toilettes delle dive che i critici, in passato numi venerati e temuti, quasi sempre con signora. I nobili veneziani snobbano, poi trovano il loro tornaconto affittando i palazzi per i ricevimenti delle major, di celebri stilisti, persino diriviste intempiincuieranoricche.Nel suo eterno casino però o proprio per quello, è lì al Lido che si scoprono le cinematografie cinesi e giapponesi,dall’India e dalle Filippine,dallaMacedoniaedalMali,esiinvitano film che poi vinceranno gli Oscar. Altro decennale, il 1942, 80 anni fa e la 10ª Mostra del cinema è l’ultima di guerra, riprendendo solo nel 1946. Non più al Lido ma a Venezia, direttore Ottavio Croze, fu naturalmente fascistissima e bellica, ospite d’onore Goebbels, laplateariservataaimutilatiitalianietedeschi, igiornalistientusiasti,dicuiBrunetta scrive con molto garbo, «Non si può dire che aVeneziasiabbiala sensazionedi coglierein pieno anno 1942 qualche segno dello stormire della fronda antifascista, qualche presa di posizione che lasci intravedere la presenza di un qualsiasi atteggiamento non allineato».Quell’anno, a Cesena, nasceva il bimbo GianPiero, futuro erudito dello schermo e in concorso alla mostra c’erano pure le quattro oredivise indue film,Noi vivieAddio Kira!.A Milano noi adolescenti andavamo a scuola e al cinema sotto le bombe, vestite da contadinella come Kristina Söderbaum del nazistaLa città d’oro,il primo film a colori che io abbia mai visto. Sognando baci, eravamo estasiate diqueltriangolod’amoretralanevedella nemica Urss mangiabambini bolscevica, tanto che me lo ricordo ancora. Leggere oggi, sulmiopreziosoBrunetta,quelcheallora, pur col fascismo, ne scrisse il giovane critico FernaldoDiGiammatteo, mirattrista:«Prolisso, quasisempre questo film non riesce altro cheun inverosimile ingarbugliatissimointrigo di elementi disparati il più delle volte non necessarieinsédeteriori».Ricordo il titolo di questi film perché mi vanto di essere la sola, o tra i pochissimi viventi, adaverli vistialla lorouscitae nonincineteca: i sontuosi indici del libro ne indicano migliaia e migliaia di personaggi, mi pareva sbagliato nominarne solo qualcuno. Chi ancora ama molto il cinema già freme in attesa della prossima Mostra, la settantanovesima tra poche settimane, nella certezza-speranza che l’enciclopedico lavoro di Gian Piero Brunettacontinuiadesserele Milleeunanotte delcinemaenonl’urnadellesueceneri.