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 2022  luglio 10 Domenica calendario

Biografia dell’imperatore Adriano

Il 10 Luglio del 138 d.C moriva a Baia, nei pressi di Napoli, l’imperatore Adriano. Tutti ormai lo conosciamo per il capolavoro che Marguerite Yourcenar gli dedicò nella forma di lettera e di memorie, che in effetti rappresentano una buona sintesi della storia e della personalità del sovrano. Ma Adriano non fu soltanto saggio, colto e valoroso: fu anche fortunato. Visse nel periodo aureo dell’Impero Romano, che Edward Gibbon definì il più felice nella storia dell’umanità. I suoi predecessori vi avevano riportato ordine e ricchezza. Nerva aveva posto fine alle convulsioni iniziate con Nerone e culminate con Domiziano, e Traiano ne aveva esteso i confini. I suoi successori furono tolleranti e benevoli. Antonino Pio fu un capace e paterno amministratore, e Marco Aurelio sarebbe stato venerato come un dio. Forse Gibbon aveva ragione: un simile secolo di pace e prosperità non si sarebbe più ripetuto
LA VITA
Publio Elio Adriano era nato il 24 Gennaio del 76, non sappiamo se ad Adria, a Roma o addirittura in Spagna. Era un giovane bello e robusto, e come Federico di Prussia amava i cani, i cavalli e i filosofi più delle donne e del lusso. Era imparentato con Traiano, che gli fece sposare la bellissima nipote Vibia Sabina. Fu un matrimonio infelice ma utile, perché spianò allo sposo, nel 117, la strada del trono.
La sua prima preoccupazione fu quella di consolidare i confini dell’Impero, rendendoli più difendibili anche a costo di qualche rinuncia territoriale. Non era un pacifista, ma nemmeno un irriducibile conquistatore. Aveva ben chiari i principi della strategia militare, che consigliano, e talvolta impongono, di valersi delle protezioni naturali per risparmiare truppe preziose e logoranti conflitti. Ma attuò questa politica con discernimento selettivo, visitando di persona tutti i suoi sterminati domini, con una programmazione pianificata.
COME NAPOLEONE
Per cinque anni, dal 121 al 126, fu lontano da Roma, e girò per le province accompagnato, come Napoleone in Egitto, da architetti, ingegneri e artisti. Oltre alla sicurezza dei territori, lo interessavano le culture, le religioni e le arti dei suoi sudditi. Era magnanimo e gaio, ma consapevole che la pace si mantiene solo con un buon esercito, e che questo si fonda sul cameratismo, sul soldo e sulla disciplina. Ispirò il primo vivendo tra i soldati, mangiando, marciando e dormendo assieme a loro. Consolidò il secondo, con sostanziosi aumenti di paga, elargizioni e premi. E mantenne la terza, con un’adeguata severità occasionalmente mitigata dall’indulgenza. Iniziò con la Gallia, e da lì raggiunse il limes tra il Reno e il Danubio. Nel 122 passò in Britanna, e costruì il vallo che ancora oggi porta il suo nome. Nella primavera successiva guidò le legioni contro i Mori dell’Africa nordorientale, quindi si imbarcò per Efeso e raggiunse l’Asia minore consolando e aiutando le popolazioni colpite da uno spaventoso terremoto. Visitò i porti del Mar Nero, nel 125 salpò per Rodi e di lì per Atene. Tornando a Roma si fermò in Sicilia e salì sull’Etna per vedere dalla sommità il sorgere del sole.
CONCORDIA
Ritrovò la capitale tranquilla come l’aveva lasciata: aveva scelto collaboratori onesti, capaci e fidati. Questo gli consentì di riprendere i viaggi, alimentati ormai più dalla curiosità filosofica che da esigenze di sicurezza strategica. Nel 129, tornato ad Atene, fu nominato arconte, riordinò il sistema legislativo come già aveva fatto a Roma, e iniziò una serie di opere pubbliche che avrebbero reso la capitale greca più bella di quella di Pericle. Da qui proseguì per Gerusalemme, ormai ridotta in macerie dalla repressione di Tito di 50 anni prima. Volle farne una metropoli nuova, con il nome di Aelia Capitolina. Fu forse il suo unico grave errore politico. Gli ebrei residui erano gelosi della loro fede e dei loro altari come ai temi dei Maccabei e degli zeloti. Dopo un po’ scoppiò la rivolta di Bar Kocheba che fu repressa con un massacro generalizzato. Gerusalemme sparì del tutto, per risorgere, secoli dopo, solo con i suoi ricordi e le sue nuove religioni.
Adriano, dal canto suo, coltivava un sincretismo di scettico benevolo e di idealista platonico. La poesiola che lasciò in punto di morte (animula vagula blandula... piccola anima ospite e compagna del corpo che te ne andrai in luoghi sconosciuti...) lascia intendere un ripudio del materialismo senza cedere al misticismo orientale. In realtà Adriano amava circondarsi di filosofi appartenenti a tutte le scuole tradizionali, ma soprattutto di stoici, epicurei e tardosofisti. Uno di questi, Favorino, fu accusato dagli amici di cedere sempre, nelle conversazioni, alle idee dell’Imperatore. Favorino rispose prudentemente che «un uomo con trenta legioni alle spalle deve aver sempre ragione». Un argomento convincente che sarebbe stato ripreso da Stalin duemila anni dopo.
RICOSTRUZIONI
La morale di Adriano fu conforme a quella dei suoi tempi. La tradizione gli ha attribuito un amore appassionato per il bellissimo adolescente Antinoo. Occorre andar cauti in queste ricostruzioni, perché questi rapporti affettivi non corrispondevano necessariamente a orientamenti sessuali. In ogni caso, quando Antinoo morì annegando nel Nilo, Adriano ne fu straziato, ed eresse in suo onore prima un tempio e quindi una città. Nel 131 tornò a Roma, impiegando le sue energie per ingrandirla e abbellirla. Tra gli altri edifici, ricostruì il Pantheon di Agrippa, di cui restava, dopo un incendio, soltanto il frontone. Per la sua vita residua edificò la splendida villa di Tivoli, ricca di opere d’arte che oggi adornano quasi tutti i maggiori musei d’Europa. Per la sua morte vicina edificò il massiccio mausoleo che successivamente sarebbe diventato Castel sant’Angelo. Ironia della storia volle che l’ultimo rifugio di questo imperatore pagano diventasse, durante l’assedio dei lanzichenecchi, quello del romano pontefice. Adriano sarebbe stato il primo a sorriderne divertito.
LA FINE
Tuttavia la sua morte non fu affatto indolore. Fu colpito da una serie di malattie debilitanti e progressive, probabilmente un’insufficienza cardiaca e respiratoria con la sequenza di disturbi collaterali che svuotano il paziente del desiderio di vivere. Adriano meditò il suicidio, ma, allora come oggi, non era un’impresa tanto facile. Chiese a uno schiavo di pugnalarlo, ma lo schiavo fuggì; ordinò al medico il veleno, ma il medico preferì uccidersi piuttosto che ubbidire. Trovò un pugnale, e gli fu strappato di mano. Il rassegnato filosofo deplorò che, mentre poteva condannare a morte chiunque, a lui non fosse permesso di morire. Quando finalmente arrivò la pace, la accolse, come si è visto, con la dolcezza del poeta.