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 2022  luglio 10 Domenica calendario

I 19 paesi prossimi alla bancarotta

Quando dieci giorni fa il team del Fondo monetario internazionale è rientrato dalla missione di monitoraggio a Colombo, ha diffuso una nota in cui ha spiegato che la situazione dello Sri Lanka era grave e che l’inflazione unita a un livello scarso di riserve avrebbe reso difficile l’import dei beni essenziali. L’Fmi però confermava il sostegno al Paese purché continuasse a seguire il sentiero tracciato dagli esperti internazionali e sottolineava che i primi passi intrapresi dal governo erano nella giusta direzione.Pochi giorni prima il governo americano aveva staccato un assegno di quasi 12 milioni di dollari per sostenere lo Sri Lanka. Principalmente l’America dirigeva i suoi sforzi nel sostegno all’agricoltura e per l’import di cibo. Ora, con i rivoltosi che hanno scacciato il presidente e fatto il bagno nella piscina del suo palazzo, tutto torna in discussione e l’apprensione aumenta. Non solo per il destino dello Sri Lanka.A Washington i sommovimenti del Paese sudasiatico erano monitorati con attenzione da mesi. Fra le righe i diplomatici Usa avevano avvertito già in primavera il profilarsi di un duplice pericolo: il primo era quello che la crisi economica avrebbe portato – come poi accaduto ieri – a una rivolta popolare; il secondo è che lo Sri Lanka avrebbe seguito le orme del Libano e non sarebbe riuscito a onorare i debiti con gli obbligazionisti stranieri. In maggio, effettivamente, il Paese ha segnato il suo primo default da quando ha raggiunto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948.Al Dipartimento di Stato temono che lo Sri Lanka inneschi un effetto domino, o contagio, fra i Paesi in via di sviluppo e scombussoli non solo gli equilibri economici ma anche quelli geopolitici.Gli ingredienti di una crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo sono evidenti. A metà giugno un report ha individuato in Pakistan, Tunisia, Etiopia, Ghana ed El Salvador indicatori economici preoccupanti. In almeno quindici Paesi – fra cui alcuni strategici come Argentina, appena invitata dalla Cina ad aderire ai Brics, ed Egitto – avevano i rendimenti delle obbligazioni su valori superiori il 10% rispetto al benchmark rappresentato dai bond del Tesoro Usa.Laddove Cina, India, Brasile e Sud Africa riescono a far fronte al super dollaro e possono proseguire nell’acquisto di commodity attingendo alle riserve o ponendo queste come garanzia, gli altri non dispongono di riserve in dollari a sufficienza. A questo si aggiunga la politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse operata dalla Fed a partire da maggio e consolidatasi in giugno, che ha schiacciato le altre valute rendendo difficilissimo per le nazioni in via di sviluppo onorare i propri debiti con gli obbligazionisti stranieri.Ad oggi – secondo il Bloomberg Index – ci sono 19 Paesi (un anno fa erano appena sei) per un totale di quasi un miliardo di abitanti, i cui mercati sono in sofferenza. E che rischiano di non riuscire a ripagare il debito. Si parla di 237 miliardi in obbligazioni, un quinto del totale (1400 miliardi) del debito sovrano denominato in yen, euro o dollaro. Il timore è che gli investitori riducano l’esposizione finanziaria in questi Paesi traballanti in tempi rapidi accelerando la bancarotta e dando vita al contagio in uno scenario che rimanda alla crisi degli Anni 80 in America Latina (la crisi del «Decennio perduto») o al 1997 in Asia quando dalla Thailandia lo «tsunami» finanziario mise in ginocchio le tigri asiatiche e arrivò sino a mandare in default la Russia.Samy Muaddi, manager della T. Rowe Price, ha spiegato la crisi come il punto di approdo di una sorta di tempesta perfetta. Durante la pandemia i mercati emergenti hanno venduto bond all’estero a prezzi bassi. Ora con l’inversione di tendenza innescata dall’irrigidimento delle politiche monetarie delle Banche centrali, il flusso di contante è opposto e molte nazioni si trovano a corto di riserve e incapaci di far fronte agli obblighi. D’altronde durante la pandemia, il G20 ha esentato i governi a ripagare i debiti posticipando le scadenze. Una misura che ha alleggerito la pressione soprattutto in Africa e in alcune zone dell’America latina, come in Perù. Il Fondo monetario ha approvato finanziamenti di emergenza per 80 Paesi offrendo la più grande iniezione della storia – 650 miliardi nei cosiddetti diritti speciali di prelievo. La mossa ha sicuramente avuto un effetto positivo a breve termine, ma ora le nazioni in via di sviluppo si trovano gravate dal debito. Il numero uno della Banca Mondiale David Malpass ha detto che le nazioni povere devono pagare 35 miliardi ai prestatori, privati e pubblici e che questo «è uno sforzo che va oltre le loro possibilità». E per quelle a medio reddito il rischio di finire in default e di vanificare anni di crescita è dietro l’angolo. —