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 2022  luglio 09 Sabato calendario

Luciano Bianciardi fuori dal canone

«Cambio» gridava all’improvviso Luciano Bianciardi da una delle scrivanie piazzate nella camera d’albergo di Grosseto. Dall’altra scrivania, la figlia Luciana doveva schizzare in piedi e correre a occuparne il posto. E lui, con analoga mossa, prendeva il suo. Era il loro gioco preferito. Si era nel passaggio d’epoca italiano dei Sessanta verso i Settanta. Lo scrittore si era già trasferito a Milano, si era separato dalla moglie Adria Berardi e viveva con Maria Jatosti. Ma una volta a settimana tornava nella città natale a trovare la figlia. E siccome gli era precluso rientrare in casa, si appoggiava in hotel. Nei lunghi pomeriggi, la piccola Luciana traduceva le versioni scolastiche, mentre il padre si misurava con le traduzioni editoriali: London, Faulkner, Steinbeck, Miller. A furia di scambiarsi di posto, deve essere avvenuta una simbiosi. Luciana diventerà, oltre che scrittrice e docente, una delle più affermate traduttrici italiane. Eppure, oggi, non vuole affatto paragonarsi al padre: «Lui batteva le traduzioni con la macchina da scrivere, doppio foglio con carta carbone in mezzo, allora non c’erano ancora le fotocopiatrici. Alla fine del lavoro, pochissime revisioni a penna. Anzi, quasi nessuna. Si immedesimava negli autori, aveva una padronanza quasi magica dei testi».
Mostruoso Bianciardi. Un rabdomante della parola. Tanto fuori classifica, fuori quota e fuori canone, che adesso la figlia Luciana – per sopperire all’assenza del nome del padre nelle antologie e negli studi critici – gira i festival letterari italiani con uno spettacolo d’altri tempi, quasi un vecchio “vaudeville”, nel quale si leggono le pagine più scottanti e significative dell’autore, inframmezzate da aneddoti e ricordi. Chi ha visto Notizie dal mondo, il western del 2020 di Paul Greengrass, capirà. Nel film, Tom Hanks gira i più sperduti paesini della frontiera americana per leggere al pubblico vecchi giornali e far circolare le notizie più curiose. Lo stesso fa Luciana con stralci dell’opera del padre. Un lavoro quasi porta a porta, goccia dopo goccia, e ogni volta incanta le platee. Prima o poi, forse, a furia di ascoltarla, allargheremo finalmente i canoni, se non altro per infilarci dentro anche Bianciardi, Buzzati, Papini, Manganelli e tanti altri.
Il 1956 fu un anno fatidico. Le parrocchie di Regalpetra di Leonardo Sciascia si insinuò nelle pieghe della letteratura resistenziale e realistica con la sua carica nascosta di fantastico. E nello stesso anno Bianciardi, che alle spalle aveva la guerra e la prima disillusione politica, la scomparsa del partito azionista, realizza con Carlo Cassola l’inchiesta I minatori della Maremma, pubblicata da Laterza. Due anni prima, l’esplosione di un pozzo aveva sterminato 43 minatori. Ma Bianciardi esce dal semplice perimetro della letteratura civile: la memorabile pagina finale, dedicata agli attimi successivi ai funerali dei lavoratori, descritti come gli ultimi della Terra, ci proietta già in un “universo tanatologico” che anticipa Gesualdo Bufalino. E che influenzerà lo stesso Sciascia nella sua ossessione per i “carusi” sepolti nel ventre oscuro delle zolfatare siciliane.
In quegli anni l’appena fondata casa editrice Feltrinelli assume e poi licenzia Bianciardi per “scarso rendimento”. L’uomo affila le stesse lame che saranno di Ennio Flaiano con la trilogia dedicata alla “società civile”:Il lavoro culturale, L’integrazione e soprattutto La vita agra, che diventa subito un bestseller, trasfor-mandolo improvvisamente in un “personaggio”. Indro Montanelli si strappa le vesti e gli offre le colonne delCorriere della Sera. Lui se ne stupisce: ha parlato talmente male della Milano degli intellettuali che, dice, dovrebbero prenderlo a calci nel sedere, invece di esaltarlo. Sempre a disagio nelle kermesse di premi e riconoscimenti che d’improvviso gli si spalancano, per campare sceglie di scrivere sul ben più popolare Il Giorno, persino in una rivista un po’ equivoca come Abc, e addirittura di calcio sul Guerin Sportivo, facendo venire sovente il mal di pancia a Gianni Brera.
E adesso che tutti si aspettano un’altra céliniana Vita agra, lui che fa? Torna agli amori giovanili, all’impresa dei Mille, al guerrigliero Garibaldi, e licenzia ( titolo da Machiavelli) La battaglia soda. Dove altrove si era visto il visionario, l’uomo capace di intuire dai segni del presente le degenerazioni che verranno («La televisione? Spegnetela»), qui si rivela il “mostro” dellaparola. Bianciardi padroneggia il linguaggio risorgimentale dei garibaldini, trasformandosi in uno “scrittore carnale”, che a furia di odori di cucine, gerghi militari, trasudazione dei cibi, colori delle stanze, sembra far parlare tutto il corpo, come se i cinque sensi percepissero la realtà anzitutto dalla pelle. «Inclassificabile» ripete la figlia Luciana. «La sua sarà anche letteratura civile, intesa però mai come invito all’impegno, ma piuttosto come visionarietà rispetto al futuro».
Solo che il vetriolo è arma a doppio taglio, se non contenuto in un alambicco a tenuta stagna. Bianciardi non guarda il mondo da un oblò, dalla finestra di Pessoa. Il mare del suo intorno straripa dentro la barca, lo stesso veleno con cui brucia le altrui maschere corrode anche lui. Lo scrittore non è mai estraneo ai mali di cui parla. Così se ne andrà nel 1971, a Milano, a soli 49 anni, mentre l’Italia sta cambiando ancora.