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 2022  luglio 09 Sabato calendario

Uno, cento, mille Wagner

Il mistero chiamato Richard Wagner ha una sostanza pesante. La sua estetica meravigliosa e sottilmente tossica è un magnete che può dare le vertigini a chi ne viene attratto. Si sa che il celeberrimo gigante produsse cambiamenti epocali nel linguaggio della musica, condizionandone gli sviluppi. A lui risalgono straordinarie innovazioni armoniche e di orchestrazione. Parallelamente sondò il tessuto stratificato dei miti prendendo spunti dalla mitologia islandese e teutonica, e dai poemi cavallereschi, per forgiare le trame dei suoi imponenti drammi musicali. Ma al di là di questo, che è già moltissimo, la sua figura è unica per identità proteiforme. Compositore e direttore d’orchestra, drammaturgo e poeta, regista e librettista, Wagner fu pure uno scrittore di pamphlet e un polemista fertile di pensieri sociali e culturali. Anarchico legato a Bakunin, fu un patriota impetuoso, un sostenitore della pace e un vegeteriano animalista. Forse fu velatamente gay, sorretto dall’ala protettiva del morboso Ludovico II di Baviera, e così abituato a indossare mutande di seta rosa ( lo svelò sua moglie Cosima) da esser disegnato dai vignettisti a lui coevi come “ Wagner fru fru”. Fu un antisemita, ma il padre del sionismo avrebbe ammirato la sua Weltanschauung. Divenne il vessillo di alcune femministe storiche grazie alla rilevanza combattiva dei suoi personaggi femminili, eppure aveva rilasciato dichiarazioni misogine. Insomma: Wagner accoglie in sé mondi infiniti e spesso contraddittori fra loro. Il corpus del suo operato splendido e intollerabile, ripugnante e assoluto, generò il cosiddetto “ wagnerismo”, un’onda lunga e appiccicosa che ha percorso il territorio delle arti e il regno della politica nell’intero Novecento e fino ai nostri giorni.
L’americano Alex Ross, critico musicale del New York Times egià autore di un libro molto premiato sulla musica del Ventesimo secolo (Il resto è rumore,2007), affronta l’indagine di tale tendenza in Wagnerismi ( sottotitolo: Arte e politica all’ombra della musica), appena edito in Italia da Bompiani.
Uscito due anni fa negli Stati Uniti, questo volume di formato wagneriano ( sfiora le 1.200 pagine) è un viaggio senza precedenti: nessuno aveva mai raccolto con tanta completezza la costellazione di immagini e temi derivata da Wagner, nato a Lipsia nel 1813 e morto a Venezia nel 1883.
Con slancio enciclopedico,Ross esplora le caratteristiche più salienti del culto postumo che lo riguarda e che abbraccia poesia, letteratura, pittura, teatro, danza, architettura e cinema. Volando da Nietszche fino ad Apocalypse Now e a Blade Runner,questo racconto monumentale è rivolto soprattutto all’indagine dell’influsso esercitato dal musicista sui non musicisti, leader politici inclusi. Sia i bolscevichi in Russia sia i nazisti in Germania fecero del colosso tedesco il soundtrack dei loro regimi, e grazie alla miriade dei suoi riverberi Wagner s’è trasformato nell’inconscio cultural- politico della modernitàoccidentale, in bilico tra furia distruttiva e aspirazione alla bellezza. A ciascuno secondo le proprie esigenze, il malleabile genio confida segreti diversi, suscitando un pandemonio. La nazione di Bismarck aderisce entusiasticamente alle suggestioni sulla superiorità germanica evocate dall’artista. Gli inglesi interpretano i miti medioevali alla base del Lohengrin e del Parsifal come riflessi delle leggende arturiane. Gli americani sposano la forza impavida degli eroi possenti scaturiti dalla fantasia di Wagner. I francesi si tuffano nella componente erotica, onirica e ultraterrena dei suoi lavori, e quest’aspetto nutre la corrente simbolista. Altri segni di wagnerismo si evincono da testi di Joyce, Proust, Thomas Mann, T. S. Eliot, Herman Hesse… Cadono nella rete anche Willa Cather e Virginia Woolf. Quest’ultima piange di lucente commozione davanti aParsifal (ma poi avrà un rigetto e accuserà Wagner di spappolarle il cervello). TheodorHerzl, fondatore del sionismo, legge ilTannhäuser come una parabola della sua visione, e il sociologo e poeta statunitense (naturalizzato ghanese) W. E. B. Du Bois scorge i modelli di un nuovo spirito afroamericano nelle creazioni del favoloso nonché razzista Richard.
Elementi interrogativi affiorano dai capitoli sul nazismo. Per un verso Hitler e Goebbels convogliano la narrativa di Wagner nei loro proclami e nei loro crimini all’interno dei lager ( tanto che la sua musica, ancora oggi, è osteggiata in Israele). Per un altro Ross dimostra un’ampia divergenza tra l’ottica anarchica espressa dall’Anello del Nibelungo e il connubio tra capitalismo e fascismo su cui l’ideologia nazista ha piantato le radici.
Forse osservare Wagner significa guardare l’anima della specie umana, nei suoi lati infimi e nobili, attraverso una lente d’ingrandimento.