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 2022  luglio 09 Sabato calendario

Il rosso Ferrari di Cantini Parrini

Dopo Pinocchio di Matteo Garrone e Cyrano di Joe Wright il colore del cuore nell’immaginario cinematografico di Massimo Cantini Parrini, il rosso, assume l’inconfondibile tonalità Ferrari. Michal Mann ha voluto il costumista, già candidato due volte agli Oscar, per un progetto a lungo inseguito e ora in dirittura di set, il biopic con Adam Driver e Penélope Cruz ispirato al libro di Brock Yates, Enzo Ferrari – L’uomo e la macchina. Ambientato nel 1957, il film intreccia le gare e il rischio di bancarotta, la crisi per la scomparsa del figlio Dino.Parrini è a caccia di materiale vintage a Londra. «Preferisco sempre trovare materiale vero, per gli attori e per avere modelli da riprodurre. Partendo dalla verità si raggiungono risultati migliori e nella fase di ricerca mi si chiariscono le idee». Una sorta di caccia al tesoro: «All’estero ci sono mercati vintage enormi organizzati in posti meravigliosi, sale di vecchi teatri e hotel, ci sono venditori di oggetti di ogni epoca, un fenomeno che purtroppo in Italia non esiste ancora, almeno a questi livelli». Sul fronte della scala cromatica, il rosso del film sarà appannaggio solo delle carrozzerie del cavallino: «Con Mannabbiamo deciso di nonusare alcun tipo di rosso per nessun personaggio,inmodochelemacchine siano protagoniste di tutto. Per i costumi lavorerò molto con pattern e stoffe che, specie per le donne, abbiano una riconoscibilità immediata. I disegni dell’epoca si rifacevanomolto alla pittura abbinando vestiti e quadri». Per le riprese italiane, invece, si rallenta, «in quel momento il nostro Paese era ricco di moda ma la provincia era un pochino più indietro, non era Parigi. La differenza si vedrà nel confronto con una scena girata in Francia».Ogni film, per Cantini Parrini, è un’immersione, «un’attività simile all’archeologia. Scavando ho scoperto che all’epoca di Ferrari c’era grande modernità, ci sono foto di moda che sembrano scattate oggi».I mercatini, per il costumista, sono una pratica che appartiene alle radici. «Ho iniziato a tredici anni con mia madre – racconta – si scovavano cose pazzesche, non era esploso il vintage. Andavo a intuito, non avevo ancora una cultura del costume. Ma mi sono ritrovato pieno di tesori. Per il nostro lavoro, attingere al passato è la parola d’ordine». Proteggerlo, anche: la sua collezione di costumi, oltre quattromila capi, continua a crescere, «ne soffre il conto in banca ma prendo tutti quelli che ritengo opportuno salvare da un destino incerto». Negli ultimi anni ha viaggiato molto, Hollywood lo ha accolto nelle varie campagne dell’Academy. «Un’esperienza formativa, mi ha fatto capire come la nostra cultura, la moda, sia apprezzata all’estero. I premi sono un punto di partenza, ti caricano di responsabilità e oggi mi sento, come dire, più guardato. Sono un orso, i riflettori di questi due anni consecutivi di nomination mi sembrano strani».Il momento più emozionante «è quando vedo per la prima volta sullo schermo il lavoro che ho fatto con la mia squadra. Lavorando all’estero, con film grandi, abbiamo sempre paura di non farcela». Il film di cui è più orgoglioso? «Non ho un preferito. Diciamo che Il racconto dei racconti mi ha dato tanto, perché mi ha fatto conoscere, attraverso Matteo Garrone, da tantissime persone. È quello che forse più ricorderò come punto di partenza». Il legame con il passato incide anche sulle scelte, «la sfida più difficile sarebbe un film di fantascienza, per me il futuro è un’epoca lontana. Se devo scegliere il film con i costumi più belli, cito senz’altroBarryLyndon, ogni volta che lo rivedo non trovo alcun errore, è perfetto».Cresciuto alla scuola dei grandi, ha avuto maestri illustri come Piero Tosi e Gabriella Pescucci ma la passione è nata prima, nella bottega da sarta con la nonna, «ero affascinato dal momento in cui l’abito venivamessosu unmanichino ediventava tridimensionale. Che magia. Negli armadi di casa ho scoperto tesori, si conservano sempre gli abiti che ti ricordano cose importanti».Fondamentale il rapporto con sua madre, «ancora oggi mi dà una forza incredibile, la mia prima fan, il grande aiuto nel credere nel mio talento perché ogni lavoro per me è difficilissimo almeno finché non si accende la lampadina per andare avanti, conquistare il gusto e la fiducia del regista».Tra i ricordi buffi del set, «quello di Salma Hayek che in Il racconto dei racconti correva nel labirinto, c’era un caldo tremendo, lei per accorciare il percorso ha tentato di saltare un muretto con il famoso abito rosso ed è rimasta a metà, non sapevo se ridere o piangere. Poi, sul set diCyrano. Le comparse non possono portare oggetti sotto i costumi, scopro una signora dal cui abito spuntava uno strano rigonfiamento, alzo la gonna e scopro che nelle calze aveva infilato di tutto: una bottiglietta d’acqua, il telefonino, un libro per non annoiarsi... Aveva la borsa di Mary Poppins».