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 2022  luglio 09 Sabato calendario

Guerra tra contadini nella risaia d’Italia

SAN PIETRO MOSEZZO (NOVARA) — Il mare a quadretti tra Piemonte e Lombardia è scomparso. Ha lasciato il posto a un prato verde che sta per trasformarsi in una distesa di riso. L’acqua, sotto, continua a correre, ma sempre meno: la poca che c’è è contesa tra il Piemonte e la Lombardia, tra il Novarese e la Lomellina. E mentre i contadini litigano, la risaia d’Italia rischia di bruciare al sole. Due Regioni differenti, ma un’unica lingua di terra che beve alla stessa fonte.
«Vede quel rigagnolo? — dice Camillo Colli, risicoltore del Pavese, presidente del Consorzio Est Sesia — Per una situazione accettabile, mancano 50 metri cubi d’acqua al secondo. Immagini quanta in un giorno». La “fonte” è il Canale Cavour, che prende l’acqua del Po a Chivasso e la porta verso Vercelli, che è fuori dalla bagarre, poi verso Novara e la Lomellina, dove il flusso arriva da un canale secondario, il Quintino Sella. «L’acqua non manca da ieri, ma da settimane. Questo è il dramma, al di là dei punti di vista », prova a mediare Colli. Punti di vista che hanno portato a duri scontri tra gli agricoltori sulconfine. La terra ha sete, i campi di riso bruciati lo testimoniano. La portata è appena il 15-20% rispetto a quella usuale. E la quota non è uguale per tutti, accusano dalla Lombardia. Già, perché il sistema funziona come un piano inclinato: l’acqua da monte scende a valle, da Novara va verso Pavia. Quando è tanta non è un problema, ma ora sì. «La ripartizione dev’essere equa. Se la portata è del 15-20%, dev’esserlo per tutti — dice Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia — È una questione di solidarietà». È stato lui a chiedere al Consorzio Est Sesia di chiudere per qualche giorno le bocche nel Novarese per far bere la Lomellina: «Siamo ancora in tempo a salvare parte del raccolto».
Se i contadini a valle lamentano i danni del piano inclinato, quelli a monte ribattono: già a febbraio era evidente che a giugno la situazione sarebbe stata tremenda. Perché è vero che il riso nasce in acqua, ma la materia prima, in realtà, è la neve.«Bastava guardare le Alpi d’inverno per capire», dice Claudio Melano, risicoltore di San Pietro Mosezzo. «La neve non c’era: cosa poteva arrivare in primavera?». Perciò Novara ha ridotto del 12% la superficie coltivata a riso, piantando mais o soia, che hanno bisogno di bere 50 volte meno.
L’altro problema è la terra, quella che in Riso amaro veniva calpestata daSilvana Mangano mondina. Melano si china e ne prende un pugno fra le dita: «Vede? È argilla. Appena si bagna si gonfia, e l’acqua non filtra più». Ma scivola di campo in campo: non va perduta. «In Lombardia, invece, è tutta sabbia. Non è colpa di nessuno, ma è così: lì si spreca molta più acqua». Tradotto in cifre, per bagnare un campo a monte bastano 1,5litri al secondo per ettaro, per uno a valle ne servono 4,5. Peccato che, in Lomellina, gli ettari coltivati siano passati da 52 mila a 83 mila da fine anni ’80, sostituendo i pioppeti. Scelta comprensibile, considerando il business: il riso alla produzione viene pagato dai 50 ai 100 euro al quintale, a seconda della qualità.
«Dare acqua a loro, oggi, vorrebbe dire darla a un morto», sentenzia Melano. Campanilismo? Forse, anche se il risicoltore novarese divide l’oro blu con il suo vicino: 5 giorni ciascuno. Ma sembra più una politica di riduzione del danno. Una teoria che il presidente di Confagricoltura Novara ha messo per iscritto in risposta alle sollecitazioni di Pavia: «Si trovino altre soluzioni — scrive — . Gli agricoltori di qui, vista la situazione, hanno fatto i compiti a casa, adottando comportamenti che aiutano a risparmiare acqua. Chiudere le bocche ora, in piena fioritura, vorrebbe dire perdere il raccolto».
Negli anni scorsi, veniva in soccorso il Lago Maggiore: bastavano uno o due centimetri per far scorrere un po’ di linfa blu nei canali. Anche il lago, però, è in emergenza. «Saranno contenti gli albergatori — dicono i contadini di entrambi i fronti — avranno spiagge più lunghe per i turisti ». Riaffiorano quindi le vecchie battaglie per avere un lago con più acqua per favorire il riso e le ruggini con i gestori delle dighe, le società elettriche, avare nel rilasciare il flusso quando produrre corrente non conviene. «Però di sabato e di domenica la tessa ha sete lo stesso».
«Bisogna evitare il disastro», chiosa Lasagna. Finora l’Est Sesia non ha chiuso nessuna bocca, ma il braccio di ferro continua. Colli, pavese, è malvisto dai contadini piemontesi, reo di aver guidato la fronda contro lo storico numero uno del consorzio, il novarese Giuseppe Caresana, finito in una vicenda giudiziaria che ha prodotto molte polemiche ma nessuna condanna. Tanto è bastato però a provocare il ribaltone ai vertici del consorzio, e la mancanza d’acqua provoca sospetti e nuove tensioni. Abbracciando la teoria della riduzione del danno, Colli sintetizza: «Se resta tutto così, nel Novarese il danno sarà di livello 1 o 2, nel Pavese 7 o 8. Siano altri a valutare». È la convivenza alla fonte che sembra sempre più difficile.