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 2022  luglio 09 Sabato calendario

Le case nella Germania comunista

Quando arrivai per la prima volta in Germania come corrispondente, la seconda guerra mondiale era finita da un quarto di secolo, per me un abisso, quasi profondo come la mia intera vita. Per i tedeschi, e i miei genitori, appena ieri. Per affittare un alloggio, era usuale dover pagare una percentuale sull’affitto, il 5 o il 10%, per tutti i mesi fino al termine del contratto. Era inteso come un contributo alla costruzione, e al sacrificio del padrone di casa per l’acquisto. A suo modo, una sorta di buona entrata.



Nel ’45, la Germania era in rovina, e si decise di ricostruire prima le industrie e poi gli alloggi, prima creare posti di lavoro, poi assicurare un tetto a tutti. Un patto sociale accettato dai sindacati, e che venne rispettato dalle parti. Uno dei pilastri dell’economia tedesca. Oggi mancano gli alloggi, soprattutto a Berlino, i prezzi degli appartamenti salgono, di conseguenza anche gli affitti. Da almeno vent’anni, non vengono costruite case sociali. Il nuovo governo ha promesso di costruire 400 mila alloggi all’anno, promessa che non manterrà, e non per colpa della guerra in Ucraina: manca la mano d’opera, manca il materiale, le misure imposte dai verdi moltiplicano i costi.

La giunta della capitale propone soluzioni strampalate, equo canone variabile in base al nucleo familiare bocciato dalla Corte costituzionale, oppure affitto legato alla busta paga (non più del 30%), o perfino l’esproprio delle grandi società immobiliari (costo 55 miliardi, che il municipio non ha). Misure mai adottate nella scomparsa Ddr.


Il regime comunista, nel ’52, promise di costruire tre milioni di alloggi, tutti avrebbero dovuto avere una casa. La promessa è stata mantenuta, annunciò Erich Honecker nel 1988, quando alla fine della Germania Rossa mancavano pochi mesi. Forse si era arrivati a due milioni, il resto erano edifici già esistenti che erano stati restaurati.

Fu scelto un modulo abitativo ideale in rapporto alle famiglie, e venne costruito dal Baltico fino alla Turingia, pezzi prefabbricati in serie. Le case apparivano uguali da Rostock a Berlino Est, a Weimar. Deprimenti come tutte le case popolari, ma non si raggiunsero gli orrori di Scampia a Napoli o del Corviale a Roma. Nel ’61, nel quartiere di Lichtenberg a Berlino Est, venne costruita l’unità abitativa secondo il modulo P2, cioè parallel 2, due pareti portanti parallele alla facciata. Un modello a cui si rimase fedeli fino all’89, l’anno in cadde il Muro.

Il modello P2/5, costruito a Halle nel ’66, prevedeva un’unità di 55 mq, un soggiorno con zona pranzo, una camera da letto, una stanza per i bambini, cucina, bagno e corridoio, appartamento minuscolo ma ben suddiviso. In un palazzone da cinque o sette piani, nella Germania Est, era il sogno delle giovani coppie. Si otteneva grazie a graduatorie stabilite dal partito, o per relazioni personali, come in Italia. Case squallide viste dall’esterno, in realtà si ispiravano allo stile dellaBauhaus. Gli appartamenti degli artisti, visitabili a Dessau, sono ideati secondo schemi pratici, semplici, che tengono conto delle esigenze degli inquilini. Una variante scendeva a 46 mq, con due stanze, oppure si arrivava a 63 mq e quattro stanze. Le pareti interne erano sottili in cemento, potevano essere spostate o abbattute a piacere. Gli appartamenti erano considerati un regalo dello stato ai cittadini, che potevano farne quel che desideravano, anche scambiarlo con i vicini o subaffittarlo. La cucina separata era di 5 mq, il soggiorno, che poteva venire diviso in due, al massimo di 19 mq.

Chi visitava la Ddr poteva avere l’impressione che il vitto fosse un problema, vedeva lunghe file in attesa davanti a trattorie e ristoranti (sempre statali), ma i cittadini non avevano come spendere lo stipendio, non c’erano molti beni di consumo, libri, dischi, cinema, teatri costavano pochissimo, e l’affitto andava da 80 centesimi a un marco e 25 a mq, dai 50 a 60 marchi al mese, pari al 5% dello stipendio.