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 2022  luglio 09 Sabato calendario

In morte di Shinzo Abe

Guido Santevecchi per il Corriere della Sera
Aveva scelto una missione Shinzo Abe: riportare il Giappone in primo piano sulla scena politica mondiale; schierarlo nel campo delle democrazie come attore ascoltato, sottraendolo al ruolo di comparsa senza voce. Per decenni, dopo la disfatta nella Seconda guerra mondiale, la terza potenza economica del mondo era stata chiamata solo a pagare i conti delle imprese (politiche e militari) condotte dall’alleato e protettore americano.

Il premier più longevo
Abe, con 2.822 giorni consecutivi alla guida del Paese del Sol Levante, tra il 2012 e il 2020, era diventato il primo ministro più longevo nella storia giapponese, che negli ultimi centoventi anni aveva cambiato cento capi di governo. Era riuscito a stampare la sua immagine nella memoria degli altri leader mondiali, un successo dopo tanti leader incolori, quasi «di passaggio» sfornati da Tokyo. Con la sua determinazione sorridente aveva portato per la prima volta un presidente americano a commemorare Hiroshima (Barack Obama nel 2016); era riuscito a tener testa a Donald Trump, che minacciava di far pagare caro al Giappone il suo progetto «America First». Si era avventurato fino a Pechino, pur sapendo che la Cina di Xi Jinping non perdona la guerra d’invasione condotta dal Giappone imperiale.

Aveva anche un altro record Abe: era stato il più giovane premier di Tokyo, nel 2006, quando aveva ottenuto per la prima volta il mandato dal Partito liberaldemocratico che governa quasi ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale. Con i suoi 52 anni, spezzò la consuetudine gerontocratica di un Paese che soffre di crisi demografica e continua a invecchiare. Quella prima esperienza al vertice del potere era andata male, si era dimesso nel 2007 dopo un anno segnato da recessione economica, crollo nella popolarità, una sconfitta elettorale. Forse per non ammettere il fallimento politico, disse di essere costretto a lasciare per problemi di salute (un’ulcera grave al colon).

Famiglia e politica
Nato 67 anni fa, era predestinato al successo politico. Un nonno e uno zio capi del governo, il padre ministro degli Esteri. Non si sarebbe dato pace se non li avesse emulati.

Tornato da vincitore nel 2012, il suo capolavoro, la mossa più audace, è entrata nella storia dell’economia globalizzata come «Abenomics»: si trattava di rilanciare la crescita dopo decenni di stagnazione e poi di deflazione. Si componeva di «tre frecce» quel piano che poi è stato studiato in tutto il mondo: immissione sul mercato di una enorme quantità di liquidità (il famoso «quantitative easing»); massicci investimenti pubblici in campo sociale; infine riforme strutturali di un sistema pieno di ruggine. I critici dicono che in realtà la freccia riformista non è mai stata scoccata, per timore delle troppe opposizioni interne.

Pacifismo e minacce
Da nazionalista pragmatico, amico oltre che alleato degli Stati Uniti, Abe si era impegnato a fondo anche in un programma di riforma costituzionale, per porre fine al pacifismo a oltranza imposto dai vincitori dopo la guerra mondiale. A chi lo accusava di essere un falco nostalgico e di voler riaccendere il militarismo nipponico, il premier rispondeva che bisognava guardare con lucidità e lungimiranza alle minacce nuove che circondano il Giappone: i missili nucleari della Nord Corea e l’espansionismo della Cina. Non si può dimenticare che i missili lanciati a decine per ordine di Kim Jong-un finiscono nel Mar del Giappone e che a volte sorvolano l’arcipelago. Non si può trascurare che Pechino ha giurato di riprendere Taiwan, un’avventura che costringerebbe Tokyo a prendere posizione.

La Costituzione non è stata cambiata (ad Abe sono mancati i numeri parlamentari, il tempo e il sostegno dell’opinione pubblica). Però, il governo Abe l’ha «reinterpretata»: e ormai è passato il principio che il Giappone non resterebbe a guardare in caso di guerra nel Pacifico, non si limiterebbe a fornire basi agli americani e affidarsi alla loro protezione. «Vogliamo solo rendere la nostra politica estera e di sicurezza chiare e trasparenti, sia in patria che fuori. E fare la nostra parte contribuendo alla pace globale da Paese normale», ripeteva.

Però, il sospetto di ambizioni militariste lo ha sempre inseguito, anche a causa delle sue visite al santuario di Yasukuni, dove tra 2,5 milioni di caduti del Sol Levante vengono onorati anche diversi generali e politici imperiali condannati come criminali di guerra dopo il 1945.

La pandemia
Un grande successo del suo governo è stata l’assegnazione dell’Olimpiade 2020 a Tokyo. I Giochi avrebbero dovuto segnare l’apoteosi di Shinzo Abe. Il suo ufficio si era mosso nel 2019 per sollecitare i cronisti stranieri a scrivere nel modo giusto il nome del premier: «Si dice Abe Shinzo, con il cognome prima del nome proprio, come vuole la nostra consuetudine». I piani furono sconvolti dalla pandemia, che ha portato al rinvio di un anno dell’Olimpiade e a una crisi di fiducia dei giapponesi nel loro governo. Non ci sono stati lockdown nelle loro città, la gestione del coronavirus è stata affidata al distanziamento sociale innato nella cultura della gente. I decessi sono stati in numero notevolmente inferiore rispetto all’Occidente (31 mila circa), ma i giapponesi hanno accusato il premier di indecisionismo. Nell’agosto del 2020, sfinito, il primo ministro si dimise per problemi di salute, di nuovo quell’ulcera grave che gli serviva anche da alibi.

Successi e fallimenti
Sono state dedicate molte biografie a Shinzo Abe. La più approfondita è intitolata «The Iconoclast», firmata da Tobias Harris, esperto di strategia al Teneo Intelligence di Washington. Che ora riassume: «Se si guarda ai suoi obiettivi, ha fallito, perché non ha riformato la Costituzione e ci sono ancora molte restrizioni all’uso della forza militare da parte di Tokyo». Questo giudizio americano dimentica che Abe si è dimostrato uno statista, che ha saputo mettere a rischio il consenso elettorale per perseguire quelli che riteneva gli interessi nazionali della nazione.

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Gianluca Modolo per la Repubblica
Il primo ministro più longevo della storia del Giappone. Uno dei leader più influenti - e a tratti divisivi - del Sol Levante dal 1945 a oggi. L’uomo che seppe rimettere Tokyo al centro della scena mondiale. «Signore e signori, il Giappone è tornato», disse in un discorso di quasi dieci anni fa.
A lungo a capo indiscusso dell’Ldp, il partito conservatore che domina la politica nipponica dal 1955, Shinzo Abe, ucciso ieri a 67 anni, fu primo ministro dal 2006 al 2007 (il più giovane del Paese, a 52 anni) e poi dal 2012 al 2020, quando si dimise per motivi di salute dopo aver rafforzato il ruolo del Giappone e stretto ancora di più l’alleanza militare con gli Stati Uniti. Erede di una delle dinastie politiche più importanti della nazione, riuscì nell’impresa di superare il nonno, Nobusuke Kishi (accusato, ma mai processato, di crimini di guerra) premier dal ’57 al ’60, il prozio Eisaku Sato (in carica dal ’64 al ’72) e pure il padre, Shintaro, potentissimo ministro degli Esteri.
A fianco del padre Abe ha iniziato la propria carriera politica da predestinato. “L’amico degli Stati Uniti” dopo essersi laureato a Tokyo si trasferisce negli Usa per studiare alla University of Southern California, facendo sbocciare il legame con l’America che poi segnerà la sua carriera politica. Si unisce alla frangia più nazionalista dell’Ldp fino a diventarne nel 2003 il segretario. Dieci anni prima si era andato a sedere per laprima volta in Parlamento, nel seggio che fu del padre. Alle elezioni del 2006 succede al popolare Koizumi, di cui era stato il delfino, con un programma neoliberista.
Dopo aver lasciato nel 2007 (anche allora, come nel 2020, per motivi di salute: rettocolite emorragica della quale soffriva da quando aveva 17 anni), Abe torna in campo e fa conoscere al mondo la sua “Abenomics”, politica che serviva da terapia d’urto per un’economia giapponese che dopo il lungo boom postbellico era diventata ormai stagnante. La cosiddetta “strategia delle tre frecce”: allentamento monetario, spesa pubblica e riforme.
Favorito da un’opposizione debole e dall’assenza di veri rivali, Abe non ha mai rinunciato al suo grande sogno - incompiuto - di modificare la Costituzione pacifista imposta dagli americani. In particolare quell’articolo 9 che vieta al Paese di avere un vero e proprio esercito. Nel 2015 riuscì comunque a promuovere il cambiamento più drastico nella politica militare giapponese degli ultimi 70 anni, reinterpretando la Carta e consentendo alle truppe giapponesi di impegnarsi in combattimenti all’estero. Le sue posizioni nazionaliste hanno spesso irritato i vicini, come le visite al santuario di Yasukuni dove riposano le anime dei combattenti per la Patria. E provocato le reazioni di Cina e Corea del Sud che le invasioni giapponesi le hanno subite.
Fu lui l’ispiratore, nel 2007, del Quad con l’obiettivo di contrastare l’influenza di Pechino nella regione del Pacifico. Critico negli ultimi anni nei confronti del potente vicino cinese, pur non avendo più incarichi di governo Abe ha continuato a far sentire la sua presenza: a dicembre ha invitato gli Usa ad abbandonare la decennale ambiguità strategica nei confronti di Taiwan e a impegnarsi a difendere l’isola in caso di invasione.
Era stato sempre lui nel 2016 a portare Obama a Hiroshima - prima visita di un presidente Usa nella città dell’atomica. Amico di Trump, con cui amava giocare a golf, è stato il primo leader giapponese a parlare a una sessione congiunta del Congresso americano.
I suoi governi sono stati segnati anche da scandali finanziari, tra cui l’accusa di aver gestito malamente le pensioni di milioni di giapponesi. Uno dei principali successi interni è stato invece quello di assicurarsi le Olimpiadi di Tokyo: fecero il giro del mondo le immagini di lui vestito da Super Mario a Rio nel 2016 quando prese il testimone olimpico. Negli ultimi mesi del suo mandato, la sua popolarità è crollata, anche a causa della gestione della pandemia. Nell’agosto 2020 dà le dimissioni passando le redini del Paese al fidato Suga. «Creeremo un Giappone che brillerà sul palcoscenico del mondo», annunciò in uno dei suoi ultimi discorsi in Parlamento. Forse un ritorno su quel palc oscenico lo sognava ancora pure lui.