il Fatto Quotidiano, 8 luglio 2022
Intervista a Daniela Poggi
Che poi dal vivo è ancor più bella rispetto ai suoi ruoli sul piccolo o grande schermo. “Grazie, però l’aspetto esteriore ha leggermente minato la mia carriera”. Daniela Poggi galleggia sull’afa romana con la leggerezza di chi ha trovato risposte ai propri interrogativi senza perdersi nel caldo torrido del dubbio atavico. “Il problema è che sono una persona scomoda: prendo posizione, ho idee, sono cattolica praticante e pure di sinistra”.
Senza rimpianti, quindi.
Perché? Sono orgogliosa anche delle copertine su Playboy e poi in quell’epoca era normale; (sorride) anzi rientro nella categoria delle persone felici pure dei propri sbagli.
C’è un “ma”…
In realtà c’è una constatazione acquisita con gli anni: non mi credevano un’attrice seria, guardavano solo il corpo.
Una lotta.
Con Montesano giravo Culo e camicia, regia di Pasquale Festa Campanile, unico film di quel periodo dove ero abbottonata; (pausa) Pasquale aveva pubblicato da poco un romanzo bellissimo, Il peccato, storia di una giovane malata di tisi e desideravo interpretare il ruolo della ragazza.
Niente da fare.
Mi hanno preso in giro all’infinito, eppure insistevo: “Sono disposta a dimagrire! Mi trasformo!”. Impossibile.
Questo fisico l’ha limitata.
Un giorno vado da un produttore per parlare di una parte; mi presento con i capelli raccolti, struccata, occhiali da vista, dolcevita nera, gonna lunga fino ai piedi e ballerine.
A scanso di equivoci.
Mi siedo, inizio a investirlo della mia necessità di mettermi alla prova con ruoli drammatici. Lui ascolta. Poi apre il mio book fotografico e vede una me leggermente diversa. Resta in silenzio. E poi: “Con tanto ben di dio, perché vuole nascondersi?”. “Perché non vengo mai calcolata come attrice seria!”.
Allora c’era una libertà differente?
Era un periodo molto più giocoso, più divertente, senza tutte queste contorsioni mentali, questi timori perenni. Però noi attrici eravamo più ingenue.
Riguarda le foto di allora?
Alcune sono attaccate in casa; (sorride) a volte ci parlo: “Ammazza che bel decolté che avevi”; oppure: “Ammazza che sopracciglia”. Questo è quando sono allegra e ironica, nei momenti di bassa l’approccio cambia; (muta tono) quando giravo commedie brillanti a un certo punto sono andata in crisi: temevo un’esistenza professionale senza importanza, fine a se stessa, non davo la giusta importanza alla leggerezza.
Si sentiva inutile.
Sì e sbagliavo.
Quanto è durata?
Abbastanza, fino a quando ho cercato di diventare brava e non solo bella. Ed è stata dura.
Rimpianto?
Di non aver analizzato in maniera reale il mio lavoro.
Sempre?
No, con gli anni di Chi l’ha visto ho cambiato percezione: è stata una delle esperienza più importanti per valore professionale, etico e umano; in quegli anni ho avuto la sensazione che il mio lavoro avesse un senso pieno.
Il suo sogno iniziale.
Ho studiato lingue, volevo diventare interprete parlamentare o hostess. Ed ero ribelle.
Lei?
A vent’anni ho vissuto un anno in Tunisia, come animatrice in un villaggio e senza neanche avvertire i miei: inizialmente, per loro, ero fuori un weekend; è lì che ho iniziato a pensarmi attrice; (pausa) ero proprio spregiudicata.
Non dà accezioni positive.
Volevo sfidare la vita e allora mi sono sentita viva solo sul palco; finito lo spettacolo mi spegnevo, affogavo nella realtà.
Negli ultimi tempi l’hanno meno coinvolta. Perché?
Me lo sono chiesto tantissime volte; (resta zitta) forse l’unica risposta è che non faccio parte di nessun gruppo; ho capito che la nostra società ci vuole dentro un contesto, ha bisogno di collocarti.
Mentre lei?
Sono scomoda; sono cattolica credente praticante; sono di sinistra, sono vegana.
Ha dichiarato: “Non uscirei con un uomo che mangia sushi”.
Ma neanche la chianina; (sorride) infatti sono sola.
Insomma, è difficile.
Aggiungo: le mie storie d’amore sono sempre state lontane del mondo del cinema e del teatro; ultimamente sono troppo vecchia per i ruoli da quarantenne o troppo giovane per quelli da settantenne.
Ha conosciuto da vicino Walter Chiari: come mai è stato dimenticato?
Lo sono tutti; non è lo stesso con Bramieri? O con Paolo Panelli? Anzi, oramai ti dimenticano mentre esisti.
Le fa impressione?
Tanto, però ho capito che la mia anima è più importante del successo; (sorride) a breve esco con un film, con un corto, ho pubblicato un libro e ho costituito una società dedicata alla cultura. Io non mi fermo.
Lei chi è?
Una selvaggia borghese.