La Stampa, 8 luglio 2022
Ariete, la cantante della generazione incerta
A Roma il concerto di Ariete inizia 24 ore prima. Una decina di ragazze si accampano la sera precedente davanti ai cancelli dell’Ippodromo delle Capannelle dove lei si esibirà durante il festival Rock in Roma. Hanno una notte intera da trascorrere lì, con il rumore lontano delle auto che sfrecciano sull’Appia. Iniziano ad ascoltare i brani della loro cantautrice preferita, a girare dei video, a pubblicarli sui social e a taggare lei, Ariete nome d’arte di Arianna Del Giaccio, 21 anni, originaria di Anzio in provincia di Latina, che negli ultimi due anni ha iniziato a macinare dischi d’oro e di platino e a incantare una generazione intera di adolescenti e non solo.
Mentre le sue fans continuano a girare video e a taggarla ad un certo punto nella notte davanti ai cancelli arriva proprio lei, Ariete. Si ferma a parlare, con le ragazze, chiede la loro storia.
E il giorno dopo quando le vede in prima fila sotto il palco le riconosce, le saluta e scherza con loro. E’ così Ariete, musica e parole. Tante parole. E’ la formula principale del suo successo. Quando il giorno dopo spunta il sole la fila diventa rapidamente un fiume. Centinaia, e poi migliaia, di giovani si accalcano in attesa di entrare. «Che cosa direi ad Ariete? Che mi ha salvata», risponde Ludovica, 16 anni e una decina di ore di attesa sotto il sole. «E’ l’unica che mi fa sentire capita», interviene Alessia, 16 anni. «E’ come se ci fossimo tutte noi nelle sue canzoni».
Un’intera generazione si ritrova nelle sue parole e le porta scritte su braccia e gambe. Niente tatuaggi, semplici lettere disegnate con un pennarello per dire al mondo o a chi si ama i versi chi sono e che cosa pensano. «Mi guarderò allo specchio e mi ci perderò dentro». Oppure «Voglio sempre quello che non ho». O, ancora, «Sento i tuoi respiri negli spifferi delle persiane».
E’ la generazione incerta, di chi ha dai 10 anni in su e ha subito due anni di chiusure per Covid e non ha il piglio deciso di Greta e di chi come lei ha trovato nelle lotte per l’ambiente la sua dimensione. Di chi non ama gli eccessi di chi ascolta la trap o il vigore esibito dei Maneskin.E’ la generazione degli altri e delle altre, di quelle e quelli che non appaiono, che non sanno bene chi sono e, tutto sommato, non vogliono nemmeno saperlo.
«Viva l’amore libero» dice Ariete all’inizio del concerto. «Siate chi cazzo vi pare e amate chi cazzo vi pare. L’importante è che non facciate del male a nessuno».
E’ il suo messaggio. E’ la sua vita. Ed è la vita delle giovani e dei giovani accorsi ad ascoltarla. Alcuni si ritrovano ai Pride, altri soltanto a scuola. Spesso si sentono soli, strani, diversi . Ariete è diventata la loro voce e i suoi concerti «un posto sicuro», come dice la cantautrice.
«Mi rendo conto che le mie storie non sono sempre mie. Magari per me raccontare una storia sotto forma di canzone è terapeutico e lo è anche per chi i ascolta al punto che una mia canzone può diventare un life-changer», spiega lei.
E’ la prima a essere sorpresa di quante persone si riconoscano nei suoi testi ma è anche la prima ad aver capito quale deve essere il suo ruolo. Non solo cantare, anche ascoltare. Durante i concerti c’è sempre un momento dedicato al pubblico. Chi ha qualcosa da raccontare sale sul palco e parla di sè a migliaia di persone. Due sere fa a Roma ha preso il microfono Giorgio. «E’ la prima volta che mi espongo davanti a tante persone. Sono un ragazzo trans e ho difficoltà a parlare di questo anche con i miei genitori, figuriamoci qui.», ha annunciato tra gli applausi. Una ragazza ha chiesto una chitarra perché «solo così riesco a esprimere quello che sento». Ha cantato una ballata in cui diceva che «il sistema scolastico fa schifo, per quanto ci impegniamo non siamo mai abbastanza». E poi «per quanto studiamo ci viene l’ansia, non capite mai i nostri problemi. Siete solo ragazzini ripetete come un mantra, ma non avete avuto la nostra età nel 2020» .
Ariete ha ascoltato, capito, lasciato libertà totale di confidarsi, sfogarsi e di sentirsi parte di una comunità che altrimenti la generazione incerta non avrebbe.
«Il mio lavoro è molto di più che scrivere canzoni - spiega lei -. C’ è qualcosa sotto di molto più profondo che è il motivo per cui sto facendo queste cose e per cui le persone vengono qui».
Quando parla di persone Ariete intende la generazione incerta ma non ci sono solo loro, i ragazzi che non hanno certezze o schemi da seguire. Con chi ha 10, 11 o 12 anni ci sono anche i loro genitori. Raffaella Montesano ha accompagnato la figlia di 12 anni. Insegna in un liceo romano. «Non ascolto Ariete ma conosco i testi e il suo messaggio Non ho pregiudizi. Mia figlia mi ha confessato che le piacciono le ragazze e io sono contenta che me l’abbia detto. E’ importante».
A mezzanotte il concerto finisce. Per la generazione incerta è il momento più difficile. Si torna nel mondo. Un po’ meno soli. Ci sono sempre nuovi amici dopo aver condiviso le emozioni per ore. Però si torna in quel mondo che fatica a capirli, a una politica sorda a cui Ariete dice soltanto: «State indietro».