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 2022  luglio 08 Venerdì calendario

Ricchi & poveri, i dati in Italia

Martedì, al tavolo di Palazzo Chigi, il governo si aspetta una risposta dei sindacati alla proposta di Andrea Orlando sul salario minimo, che il ministro vorrebbe definire in base al trattamento economico dei contratti maggiormente rappresentativi di ogni settore. La mediazione del responsabile del Lavoro, rilanciata ieri su questo giornale, è l’unico modo per uscire da un vicolo cieco. L’idea di stabilire un salario legale per tutti (al Senato c’è un ddl che fissa una retribuzione di 9 euro l’ora) non piace ai sindacati, lascia freddi gli imprenditori e in Parlamento il centrodestra è contrario. Quindi, meglio valorizzare la contrattazione. Come spiegano fonti dell’esecutivo, però, si tratta di una soluzione ponte, che dovrà preparare un intervento più strutturato da realizzare nella prossima legislatura. La via scelta da Orlando garantirà a centinaia di migliaia di lavoratori – le stime oscillano tra mezzo milione e ottocentomila – di uscire da una condizione di povertà, ma il far west dei contratti pirata non verrà superato in tutti i comparti. Ci sarà sempre qualcuno che verrà pagato con uno stipendio da fame, sotto i nove euro l’ora.
Cgil, Cisl e Uil hanno già aperto a questa ipotesi, così come i ministri della Lega e di Forza Italia. La Cgil però chiede di mettere assieme la validità erga omnes degli stipendi previsti dai contratti nazionali con una legge sulla rappresentanza, cosa che piacerebbe anche a Orlando, ma rischia di rallentare l’intesa tra le parti. Difficile arrivare a un accordo in poco tempo, ma un tentativo verrà fatto pure sulla rappresentanza.
Confindustria sostiene di non essere interessata alla partita del salario minimo perché, ribadisce Carlo Bonomi, «le nostre aziende firmano contratti più alti dei nove euro contenuti nella proposta in Parlamento». Le associazioni datoriali puntano sul taglio del cuneo fiscale, che per Bonomi deve essere di 16 miliardi e tutto a favore delle imprese. Uno scenario che Landini, Sbarra e Bombardieri non vogliono prendere in considerazione. Dal loro punto di vista il cuneo va ridotto ai lavoratori, e bisogna agire fiscalmente, non sulle aliquote contributive. La Cgil, inoltre, per combattere il carovita innescato dall’inflazione, auspica che il bonus dei 200 euro, varato dal governo nel cedolino di luglio, venga erogato fino alla fine dell’anno. Luigi Sbarra della Cisl spinge perché venga ampliata la platea di chi percepisce i 200 euro: «Bisogna sostenere il reddito di chi ha più bisogno – dice – i lavoratori agricoli, dello spettacolo, gli stagionali, gli insegnanti precari».
Il pressing dei sindacati ha avuto effetto sul Partito democratico, tanto che Enrico Letta si è sbilanciato sollecitando una riduzione delle tasse sul costo del lavoro per garantire «una quattordicesima» agli italiani nel 2023. Scenario difficile, se si considera che il bonus di 200 euro per un solo mese ha richiesto una copertura di 6 miliardi.
Il premier Mario Draghi ha annunciato che il taglio del cuneo sarà uno dei temi della manovra, tuttavia la possibilità di un mini intervento tra fine luglio e la prima settimana di agosto non è da escludere, dipenderà dalle risorse. Oggi, le coperture da destinare esclusivamente al lavoro ammontano a circa 5 miliardi, e le simulazioni del Tesoro prediligono un intervento concentrato sui redditi bassi, fino a 35 mila euro. Una dote che certo non assicura un impatto significativo. L’altro dossier presente al tavolo di martedì riguarda il rinnovo dei contratti: Cgil, Cisl e Uil chiedono il superamento dell’Ipca, il parametro che viene preso a riferimento per indicizzare i salari all’inflazione, ma che non tiene conto della variazione dei costi dell’energia.