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 2022  luglio 07 Giovedì calendario

Le vite di Janet Jackson

Lo scandalo è un lampo di due secondi, ma la incenerisce. Primo febbraio 2004, stadio Reliant di Houston, intervallo del 38mo Super Bowl, che alla fine vedrà il trionfo dei New England Patriots sui Carolina Panthers. I tradizionali quindici minuti dell’Half Time Show, con la produzione a realizzare miracoli per far godere i 150 milioni di telespettatori sintonizzati sulla CBS. Godere, sì, ma con giudizio. Perché durante l’esecuzione di Rock Your Body, nel cui testo compare il verso rivelatore “prima della fine di questa canzone ti spoglierò”, Justin Timberlake afferra il costume di Janet Jackson all’altezza del petto e le denuda un seno corredato di piercing. È il Nipplegate. Outfit difettoso? Incidente deliberato? Si dirà che Timberlake volesse aiutare la carriera (peraltro lanciatissima) di Janet, e al tempo stesso vendicarsi dell’ex fidanzata Britney Spears, che agli MTV Awards si era lanciata in un bacio saffico con Madonna. In ogni caso, si scusa per l’incauto gesto.
Il sarto Marcello Garson dichiara che alla vigilia del Super Bowl gli era stato chiesto di non realizzare cuciture a prova di strappo. C’era stata anche una prova in cui Justin avrebbe tirato via la gonna della collega duettante, ma senza lasciarla in costume adamitico. Come sia, l’America benpensante scaglia un anatema soltanto contro la sorella di Michael, lasciando impunito Timberlake. La MTV si rifiuterà di passare i video di Janet Jackson, molte radio la bandiscono dalla programmazione. E l’album in uscita, Damita Jo, si rivelerà un fiasco.
Curiosamente, però, la scheggia mediatica del Nipplegate produce vistosi effetti collaterali. Da quella sera, tutti i network adottano la norma della differita di pochi secondi. E un nerd di nome Jawed Karim, nevrotizzato dall’impossibilità di rivedere la sequenza incriminata su Internet, crea con due sodali nella creazione di un codice software destinato a diventare YouTube. Ci vorrà comunque molto tempo prima che Janet risalga le classifiche (il titolo dell’album del 2015, Unbreakable, è un manifesto programmatico), mentre l’epoca aurea pre-capezzolo per lei era stata una pacchia: vedi Control del 1986 (una stilettata all’ingombrante famiglia) o, tre anni più tardi, Rhythm Nation 1814, dove affrontava temi come il razzismo, non sempre al centro dell’agenda pop & soul. Non che la signora Jackson abbia problemi a mettere insieme il pranzo con la cena: in carriera ha venduto quasi 200 milioni di dischi e il suo patrimonio netto sfiora la stessa cifra, in dollari. Janet prova a raccontarsi in un documentario in quattro puntate, This is my story, My truth, la prima stasera su Sky e Now. Con le inevitabili pattinate sul ghiaccio sottile che implica la produzione di un’autobiografia. Però Janet sa che non può nascondersi troppo. Come quando rievoca l’infanzia accanto a un fratellone scomodo come Michael: “Mi provocava per il mio corpo, chiamandomi scrofa, cavalla o vacca. Poi rideva e io anche, erano scherzi tra fratelli, ma dentro rimanevo ferita e questo ha influenzato la mia autostima”. Malgrado l’affetto e l’unico loro duetto, Scream, un successo galattico, la rivalità tra i due congiunti bruciava sottopelle. Se questo è il quarantesimo anniversario dell’album d’esordio della sorella, identificabile come Janet Jackson, a novembre cadrà la medesima ricorrenza di Thriller, in un profluvio di edizioni celebrative. Quanto valga ancora il marchio di Michael lo dimostra il musical MJ, che si è aggiudicato quattro Tony Awards, compreso quello per il protagonista Michael Frost, sbancando Broadway. Così come è capitato a maggio per Xscape, seconda raccolta di “inediti postumi” del Re del Pop.
Janet sempre in ombra? Può darsi, ma le è andata di lusso, da ultima nata della nidiata di nove figli del tirannico (e forse abusatore) Joe e della germofobica Katherine, una che quando va in aereo passa metà del volo a sanificare il sedile, mania che ha inevitabilmente trasmesso ai suoi pargoli. Michael era legato alla sorellina più piccola: ma quando è morto, la genealogia è diventata un puzzle irricomponibile. Janet si è oggi inimicata Paris, figlia adorata e adorante del de cuius. Zia e nipote si stringevano in lacrime ai funerali di MJ, il cui svolgimento era stato permesso solo perché la soul singer aveva pagato di tasca sua 50mila dollari, pretendendone la restituzione dall’Estate che gestisce l’eredità del fratello, un pozzo senza fondo di più di mezzo miliardo di dollari. Quanto alla sessualità dell’imperscrutabile Janet, dopo tre matrimoni falliti e fidanzamenti infelici, non si sono mai placate le voci su una sua inclinazione gay. Le indicazioni nelle canzoni non mancano, la comunità LGBT la vede come un’icona. Ma converrà pensarci a fondo, prima di fare coming out nell’America che medita la damnatio memoriae per un capezzolo in diretta.