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 2022  luglio 07 Giovedì calendario

Moni Ovadia porta sul palco il processo a Mussolini

Mussolini e la violenza. A 100 anni dalla marcia su Roma, la condanna del fascismo può prescindere dal dibattito ideologico e concentrarsi sui crimini del regime. Non solo le leggi razziali e l’allenza con la Germania nazista di Hitler, è tutta la storia di Mussolini e del fascismo a lasciarsi dietro una scia di sangue. È questa l’impostazione di «Il duce delinquente», spettacolo di Aldo Cazzullo, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, e Moni Ovadia, attore e uomo di teatro, che verrà presentato in anteprima domani ad Atri e debutterà il giorno dopo a Cervia per il Ravenna Festival. «Non esiste fascismo senza violenza – dice Ovadia —. Mussolini si è impadronito dell’Italia con la violenza che è stata anche lo strumento per abolire la democrazia e tenere il potere». 
I due saranno insieme sul palco. Cazzullo, che il 20 settembre pubblicherà «Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo», volume che ha ispirato lo spettacolo, ricostruisce gli avvenimenti, li inquadra in una prospettiva storica e tende lungo il filo conduttore della narrazione la tragica storia di Ida Dalser, amante del duce, e di suo figlio, Benito Albino, entrambi fatti rinchiudere e lasciati morire in manicomio. A Ovadia il compito, nelle sue stesse parole, di «saltimbanco». Sarà lui a dare la voce ai discorsi ufficiali di Mussolini, alle testimonianze delle vittime, ai documenti dell’epoca. «Quando leggo i discorsi di Mussolini non interpreto cercando di imitare la sua voce e la sua impostazione. In qualche passaggio ci sarà un accenno di livello parodistico alle sue esibizioni mascellute o alle attitudini ginniche, ma abbiamo preferito dare un tono più fermo per mostrare che il crimine era già nei discorsi», anticipa l’attore. Ci sarà una terza presenza in scena. Giovanna Famulari, pianista, violoncellista e cantante, a cui è affidata la colonna sonora dell’epoca con le canzoni del Trio Lescano, Alberto Rabagliati e altri. «La musica crea quella sensazione da film con i telefoni bianchi e le abat jour... Non ci saranno “Bella ciao” e i canti partigiani per non dare un tono militante, per non far dire che siamo i soliti antifascisti comunisti, anche perché se io vengo da una tradizione marxista e radicale, Cazzullo non ha proprio quelle radici». 
Ovadia è ebreo, ma la sua analisi va oltre le leggi razziali del 1938: «Mussolini è stato il più grande assassino di italiani: alla fine del regime ha concesso ai nazisti i rastrellamenti, ma prima ancora c’erano stati gli omicidi politici e gli eserciti mandati in guerra impreparati. “Ho bisogno di 20 mila morti”, scrive in una lettera a Claretta Petacci parlando della guerra. Il crimine è già nei discorsi. E non dimentichiamo i crimini di guerra in Libia, Etiopia, Albania, Abissinia, Spagna e Grecia». L’attore non vuole dare allo spettacolo – che tornerà l’8 settembre a Camogli al Festival della comunicazione e in autunno sarà in tour nelle principali città italiane – una lettura ideologica. «Come diceva Umberto Eco, il fascismo non è un’ideologia, ma una retorica e un’iperbole di non verità e bugie. La demolizione della mitologia arriva da due persone come me e Aldo che sono antifasciste nel senso più civico, umano e profondo del termine». Il titolo potrebbe provocare la reazione di qualche nostalgico. «Agli spettacoli ci aspettiamo che qualcuno si presenti facendo il saluto romano. Sono persone che hanno paura di questa contestazione del fascismo in tutte le sue declinazioni non da militanti comunisti ma da cittadini democratici. Io arriverò anche da un’estrazione marxista e radicale, ma Aldo ha altre radici e proprio per questo non si sente uno spirito di fazione». 
Per Ovadia il valore dello spettacolo non è soltanto storico. «L’antifascismo ha un grande significato in un’Italia che ancora non si è liberata di quei liquami del passato che ancora oggi inquinano la politica e che hanno impedito al nostro sistema politico di avere una vera destra. Solo da noi c’è ancora indulgenza verso il fascismo. A differenza di altri Paesi passati dalla dittatura, non siamo ancora riusciti a fare un percorso di riconoscimento sull’aver albergato un regime criminale». Il punto di partenza, secondo l’attore, dovrebbe essere la Costituzione: «La nostra Carta è antifascista e prevede che il fascismo non debba avere spazio pubblico. L’antifascismo non è un’idea politica, ma dovrebbe essere nella natura costituzionale di noi italiani».