la Repubblica, 7 luglio 2022
Intervista a Valerio Lundini
La parola più usata, quando si parla di lui, è «rivelazione». Valerio Lundini, 36 anni, comico, musicista e scrittore, domani apre al castello di Santa Severa, a pochi chilometri da Roma, la tournée che lo porterà in giro per l’Italia con i Vazzanikki. La band lo ha accompagnato nel programma cult di Rai 2 Una pezza di Lundini, che non tornerà. Le interviste surreali, restano: la faccia di Damiano dei Maneskin — mentre Lundini spiegava «in fondo è bellissimo che abbiate messo una donna a suonare uno strumento, perché sono in grado. Sceglierei donne per fare qualunque cosa, Meg Ryan, la Montalcini» — è impagabile.
Una pezza di Lundini chiude, i social sono impazziti: facciamo ordine?
«Era già previsto che non si facesse. Siamo arrivati a una terza stagione, nel complesso 52 puntate. Era anche giusto fermarsi, il rischio di farlo diventare meno brillante o un altro tipo di programma, c’era. Non c’è da strapparsi i capelli, poi magari dopo un anno ci inventiamo altro».
La presenza di Roberto Benigni nei titoli di coda dell’ultima puntata prelude a altre collaborazioni?
«Non è previsto nulla, si è prestato a fare un cameo bellissimo».
Farà Conferenza stampa su RaiPlay.
«Il programma nasce da un’idea di Giovanni Benincasa, io sono meramente coautore, do una mano. Se esiste un fan della mia faccia — e mi auguro di no — sarà deluso. Non apparirò».
Che ha capito della televisione?
«Parlo da viziato perché il programma è stato un’oasi felice, mai censurato. I problemi sono stati legati alle difficoltà di trovare un orario costante nella messa in onda, per chi voleva vederlo in diretta».
Da autore com’è il panorama?
«Dal punto di vista della creatività, ho notato una certa pigrizia. Mai trovato gente brillante. Con Nino Frassica, e Lillo e Greg è stato bello. Non hanno mai detto: questo il pubblico non la capisce. Il grande alibi. Le cose strane la gente le ha capite, poi magari non hanno ottenuto il 200% di share. L’alibi è pensare che la tv la veda un determinato pubblico. Qualcuno ha smesso di rispettarlo tempo fa».
Da musicista come vanno le cose?
«Soffro molto l’estate ma va abbastanza bene. È la prima volta da quando suoniamo, e la band suona da tempo, che facciamo le prove e c’è un biglietto all’ingresso».
Non è solo un concerto vero?
«Facciamo rock degli anni 50, hit anni 60, ci divertiamo a introdurre pezzi che poi sfociano nel demenziale, ho scritto delle cose. Sono stato una seconda voce e anche pianista».
Ha individuato il suo pubblico?
«Nelle grandi città gente di età diversa, nei piccoli centri, per usare l’espressione cara a chi fa i palinsesti, pubblico imberbe. Il mio immaginario è coltivato in anni di tv: Rai, Mediaset e Mediaset quando era Fininvest. Nello spettacolo citavo Grease poi pensavo: i diciottenni sanno cos’è? Se non sono nominate in tv, le cose smettono di esistere. Per molti Totò è un pensiero vago, per me è come il Colosseo. W il pubblico giovane ma sono contento che mi fermino persone dell’età dei miei genitori. I giovani pensano: "I matusa non capiscono", e questo mi indispone. Tra poco avrò 40 anni».
Ma ne ha 36…
«Già adesso soffro per l’età. Se personaggi che stimo e hanno più di 60 anni dicono una frase fuori posto sono attaccati. Io vengo perdonato, e a volte non merito il perdono. Non sopporto il razzismo per l’età».
Quando dice cose folli come fa a rimanere serio?
«Se avessi riso il programma sarebbe stato da buttare. Non penso di far ridere ma di creare situazioni assurde, lo stupore può far ridere o piangere. Da me in studio non rideva nessuno, il pubblico non applaudiva. Se lo avesse fatto per ogni cavolata detta da me o da Emanuela Fanelli sarebbe stata la fine».
Gli studi svuotati dalla pandemia che effetto le facevano?
«L’unica cosa bella portata dal Covid era stata l’eliminazione del pubblico. Ai talk politici dicono una fesseria e ci sono sempre 20 che applaudono. Si è creata una dinamica inspiegabile. Uno dice: "Incendiamo i boschi per creare negozi di pannolini" e la gente applaude. Se qualcuno grida, un altro dice: bravo».
Chi la fa ridere?
«Amici, Nino Frassica, Lillo e Greg, Antonio Rezza. Mi fanno ridere cose che non nascono per far ridere. Ascolto La zanzara di Parenzo e Cruciani, lo so, dico una cosa divisiva ma rido. C’è anche musica orribile e a qualcuno piace; poi ci sono cose che fanno pietà e ci sono altri a cui faccio pietà io. Amo le cose volgari se sono infantili e non ammiccanti: le parolacce dette da un bambino».
A scuola faceva ridere?
«Avevo un circolo di amici, ci mandavamo i bigliettini. "Vorremmo ridere anche noi" diceva la prof, Spiegavo: "Posso anche farle vedere il biglietto, ma non capirebbe"».
E in famiglia?
«Genitori normali. Non mi definirei "il re della festa"».
Oltre al tour da musicista che fa?
«Sto finendo di scrivere un libro di racconti, per Rizzoli lizard. Avevo paura che venisse brutto invece no».