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 2022  luglio 06 Mercoledì calendario

Intervista a Stella Morris

Se verrà estradato negli Stati Uniti, rischia fino a 175 anni di carcere, in base all’Espionage Act, una legge sullo spionaggio del 1917 che per la prima volta nella storia americana verrà applicata a un editore, ovvero al fondatore di WikiLeaks, ovvero a Julian Assange. Così, mentre i criminali di guerra e i torturatori, che i suoi scoop hanno mostrato al mondo intero, non hanno scontato nemmeno un giorno di carcere, la libertà di stampa – il famoso Primo Emendamento – viene messo sotto attacco da quel Paese, gli Stati Uniti, che “stanno consumando la loro vendetta” nei confronti di Assange. A parlarne col Fatto è Stella Moris, moglie di Assange e madre dei loro figli Gabriel e Max. Ha sposato Assange dietro le sbarre del carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh, dove lui è detenuto da oltre tre anni in attesa dell’estradizione e del processo. Stella ha lavorato fin dal 2011 a fianco del team legale che difende Assange. Venerdì scorso hanno presentato il ricorso contro la decisione della ministra dell’Interno inglese Priti Patel di concedere l’estradizione negli Stati Uniti.
Cosa si aspetta dall’appello?
Senza entrare nei dettagli, sono circa 12 le istanze possibili a cui possiamo appellarci. Non solo verso gli Stati Uniti, ma anche rispetto alla decisione della ministra inglese Priti Patel. Sarà l’Alta Corte a decidere quali ritenere ammissibili. Ma ci sono basi molto forti: la violazione della libertà di stampa, il fatto che il caso Assange sia di natura politica e non giudiziaria, il trattato sull’estradizione tra Stati Uniti e Regno Unito che la vieta se le ragioni che ne hanno animato la richiesta sono politiche, gli abusi che Julian continua a subire… Contano anche alcune rilevazioni scioccanti come il piano della Cia di rapire o avvelenare Julian (raccontato da Yahoo News ed emerse anche in un’indagine giudiziaria in Spagna, ndr): non furono affrontate dalla Corte all’epoca, ora rientreranno nel ricorso.
Se dovesse andare male, presenterete appello anche alla Corte Europea dei Diritti Umani, alla Cedu?
Sì, se le Corti inglesi non fermeranno l’estradizione, ricorreremo alla Cedu. Non so però se siete informati di quello che sta accadendo nel Regno Unito: il governo Johnson, dopo che la Cedu è intervenuta per fermare il tentativo di trasferire in Ruanda i richiedenti asilo, ha annunciato di voler mettere mano all’ordinamento che regola l’accoglimento delle sentenze Cedu. L’effetto può essere devastante sul nostro caso.
Se perderete il caso, che farà?
Se Julian verrà estradato negli Usa, sarò lì a sostenerlo qualunque cosa accada. La nostra paura è che, se estradato, verrà messo in isolamento e non sappiamo se potrà ricevere visite. Negli Usa il regime più duro prevede solo una telefonata di 30 minuti al mese: dovrebbe scegliere quindi se chiamare i suoi avvocati o me… Immaginate cosa significhi avere solo 15 o 30 minuti al mese per parlare per tutto il resto della vita coi vostri cari. È, di fatto, un modo per uccidere una persona. Ogni giorno, negli Stati Uniti, 80mila persone vengono messe in isolamento. È routine nei penitenziari americani. Ma di quegli 80mila solo a pochissimi è riservato il regime duro. Julian potrebbe lasciare la sua cella solo per fare esercizio fisico, sempre nel cuore della notte, e non all’aria aperta. Questo è il trattamento che gli Usa applicano alle persone incriminate con l’Espionage Act, è la prima volta che questa legge del 1917 viene usata contro un editore. E questo trattamento estremo è un modo per “normalizzare” e incorporare nel sistema carcerario quanto viene fatto ai prigionieri a Guantanamo, o nelle prigioni segrete della Cia. Isolare per silenziare. Gli Stati Uniti si stanno vendicando: colpiscono Julian con gli stessi metodi brutali che lui ha scoperchiato. Ha portato alla luce Guantanamo, le torture, l’arbitrarietà del sistema giudiziario in Germania, in Italia e in Spagna: gli verrà “restituito” tutto.
Assange a Belmarsh è stato di recente messo sotto sorveglianza speciale.
Nel giorno in cui la ministra Patel ha comunicato di aver approvato l’estradizione, il 17 giugno scorso, Julian è stato messo sotto controllo rafforzato per prevenire il rischio suicidio. È stato prelevato dalla sua cella, portato in un’area speciale, è stato denudato e perquisito e poi rinchiuso in un’altra cella completamente vuota, per tre giorni. Le autorità di Belmarsh hanno sostenuto di averlo fatto per la sua sicurezza. Ma secondo noi questo ha aggravato le difficoltà e il senso di isolamento di Julian: non ha potuto ricevere visite in un momento così delicato e difficile. Quando sono arrivata a Belmarsh mi è stato detto che la visita era stata cancellata perché Julian doveva andare dal medico… Non sapevo se per un’emergenza, non sapevo per cosa… Non mi sono state date informazioni. Quando siamo riusciti a parlare, gli ho chiesto se fosse stato dal dottore: mi ha detto che non aveva avuto alcuna visita medica.
Lei più di una volta ha detto che “il caso Assange non è un caso giudiziario ma una persecuzione politica”. È stata l’amministrazione Trump a incriminare Julian. Si aspetta che ora il presidente Joe Biden riconsideri il caso?
È importante capire che, dal punto di vista giudiziario, il caso di Julian è sul filo del rasoio: ci sono forti pressioni sia perché le accuse nei suoi confronti decadano sia perché l’incriminazione proceda. L’inchiesta penale la aprì l’amministrazione Obama, ma poi Obama decise di liberare la fonte Chelsea Manning (la whistleblower di WikiLeaks fu rilasciata dopo sette anni di carcere e due tentati suicidi, ndr), e di non incriminare Julian. L’amministrazione Trump è stata forse la più trasparente della storia, nel senso che ha reagito alle continue fughe di notizie dichiarando guerra alla stampa e dando il via alla prima incriminazione di un editore ai sensi dell’Espionage Act. Biden era parte dell’amministrazione Obama. So che attualmente all’interno dell’attuale amministrazione ci sono varie spinte, anche opposte.
Non c’è un governo al mondo che difenda Julian Assange. Perché?
Non direi che nessuno lo difende, tutt’altro. Dopo la decisione inglese, c’è stata una forte mobilitazione. E anche prima, per esempio, il rappresentante per la libertà di stampa dell’Osce, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, tutte le più importanti organizzazioni per la difesa della stampa, 2mila giornalisti e oltre 300 medici hanno scritto direttamente alla ministra Patel. L’intera comunità che difende la libertà di stampa nel mondo sostiene Julian. Istituzioni come il Consiglio d’Europa hanno detto che Julian deve essere rilasciato e non estradato, hanno denunciato che i suoi diritti umani sono stati violati. Quanto ai governi, qualche settimana fa, la ministra degli Esteri tedesca ha detto, pur se in modo cauto, che la Germania guarda al caso Assange diversamente dagli Usa e che è un caso che riguarda la libertà di stampa. È significativo.
Recentemente, a Milano, il Partito democratico ha votato in Consiglio comunale contro la proposta di assegnare ad Assange la cittadinanza onoraria.
Ho letto. È interessante riflettere su chi vota “contro”, perché credo che questo provenga o dall’ignoranza o da una scelta di posizionamento politico. Sui diritti umani, sulla libertà di stampa, tutti erano d’accordo, no? Bisogna allora chiedersi: quali sono i principi di chi vota contro, visto che prendono le distanze da Amnesty International, da Reporters Sans Frontières? Credo che, di fondo, ci sia una visione errata e semplificatoria del caso, dei principi per cui Julian si batte e di ciò che fa WikiLeaks come organizzazione giornalistica. Le persone ricadano in schematizzazioni tipo: Julian è anti americano, WikiLeaks si occupa solo degli Stati Uniti… Questo tipo di pregiudizio e di ignoranza esiste. C’è chi vorrebbe fare di Julian un baluardo contro l’imperialismo Usa, ma a essere in gioco, qui, sono i principi stessi su cui si basa la democrazia. Julian non è il simbolo di altre cose.
Assange è rinchiuso da anni solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, per aver denunciato eccidi e crimini di guerra, i segreti inconfessabili dei governi. Quando guarda alla situazione in Ucraina, a come viene riportata dai mezzi di informazione, cosa pensa? Lei ha scritto una lettera ai giornalisti occidentali, ricordando come “il lavoro di Assange sia stato al servizio della verità ma di una verità scomoda, perché ha portato alla luce i crimini commessi da noi, dai ‘buoni’”.
Oggi ci troviamo in una situazione molto pericolosa. La guerra non è solo un campo di battaglia per le armi ma anche per l’informazione. Julian è stato messo in prigione per aver pubblicato notizie vere su una guerra impopolare, come era quella in Iraq, dove le forze di occupazione americana controllavano totalmente la narrazione dei fatti. Nella lettera dicevo: “Se Julian verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere, sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro diritto di sapere cosa fanno realmente coloro che ci governano. Se Julian non sarà liberato, nessuno di noi sarà più libero”.