il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2022
L’Italia dovrà ricostruire il Donetsk
La ricostruzione dell’Ucraina? Nei progetti del governo di Kiev e del primo ministro Denys Shmyhal, scatterà su base regionale e molti Paesi, Italia compresa, potranno prendersi una fetta del colossale business, stimato a oggi in almeno 750 miliardi di dollari. Ma la divisione non sarà in parti uguali: Zelensky e i suoi hanno riservato il meglio ai partner più generosi in termini di sostegno politico, di armi inviate e di aiuti erogati. Non a caso Londra si prenderà la capitale Kiev, Ankara e Washington la seconda città del Paese, Kharkhiv, mentre ad Atene andrà Mariupol e a Roma (insieme a Varsavia) Donetsk, ammesso – e non concesso – che l’Ucraina riesca a riconquistarla. I danni della guerra scatenata da Mosca sono giganteschi e costantemente aggiornati: una app consente a ogni ucraino di segnalare edifici, strutture e oggetti colpiti, verificati e catalogati in un database pubblico. Secondo Kiev sono stati danneggiati o distrutti almeno 40 milioni di metri quadrati di edifici, 212 strutture mediche, 305 ponti, 24 mila chilometri di strade, 1.210 scuole, 12 aeroporti, migliaia di chilometri di gasdotti, acquedotti, ferrovie. Le valutazioni variano, ma – se le ostilità si fermassero ora – alla ricostruzione secondo stime ucraine servirebbero almeno 750 miliardi di dollari. Cifra che cresce ora dopo ora e non tiene conto delle sofferenze e perdite umane.
Secondo le slide proiettate lunedì durante il discorso di Shmyhal alla Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina tenuta a Lugano, organizzata da Berna e Kiev alla presenza di 36 Stati e 13 organizzazioni internazionali, gran parte dei finanziamenti dovrebbe venire da fondi congelati a Mosca e oligarchi russi. Kiev ha diviso il territorio in zone. Un primo gruppo di Paesi donatori ha già inviato i suoi aiuti su base geografica: il Regno Unito si è preso carico della capitale Kiev, Estonia Lettonia e Lituania di Zytomyr, la Lituania di Bucha, la Turchia di Kharkhiv, la Danimarca di Mykolaiv e la Grecia di Mariupol. Ma quando la guerra sarà finita e, secondo i desideri di Kiev, vinta con il ritorno dell’intera Ucraina sotto la sua sovranità, alla ricostruzione parteciperanno anche altri partner: Usa a Kharkhiv, Germania a Chernihiv, Canada a Sumy, e poi via via Irlanda, Svezia, Repubblica Ceca, Finlandia, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Svizzera, Norvegia. All’Italia, insieme alla Polonia, toccherebbe Donetsk, nel Donbass. Sempre che l’Ucraina riesca a riprenderla a Mosca, che oggi la controlla.
La sfida per l’Ue, che vuol guidare il “Piano Marshall” per Kiev, è mobilitare investimenti e coordinare istituzioni e privati. Il prossimo passo sarà la conferenza internazionale organizzata dopo l’estate da Ue e Germania, annunciata a Lugano dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Già al Forum economico di Davos molti investitori si erano fatti avanti. Secondo la proposta della Commissione, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo avrà un ruolo cruciale, così come Svizzera, Usa, organizzazioni europee e internazionali, Banca europea per gli investimenti, Fmi e Banca mondiale e, naturalmente, le imprese. Roma non si tira indietro: “Voglio garantire che l’Italia è pronta a lavorare con voi e tutti i partner per l’attuazione del piano di ripresa ucraino”, ha detto a Lugano il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. Torna in mente un vecchio film: “Finché c’è guerra c’è speranza”.