Corriere della Sera, 6 luglio 2022
L’altra Gioconda: una storia di pentimenti
Le dita di una mano leggermente spostate, disegnate e poi modificate. Il bracciolo «invisibile» della sedia. Si basa anche su questi dettagli, colti dalle riflettografie che hanno rivelato il tracciato sotto il colore, la tesi che riporta la Gioconda Torlonia nell’alveo della bottega di Leonardo da Vinci. Antonio e Maria Forcellino già nel 2019 avevano parlato di «tecnica così raffinata» da far pensare al maestro. Ora ribadiscono: «I ripensamenti nel disegno sono affini a quelli rinvenuti nella Gioconda del Louvre, escludiamo che la Torlonia possa essere una copia successiva perché le modifiche seguono quelle apportate da Leonardo sulla Monna Lisa». Ovvero: chi ha eseguito il quadro conosceva da vicino la genesi del ben più famoso «fratello». La Gioconda Torlonia è conservata dal 1927 alla Camera dei deputati, dove è approdata passando dalla famiglia di Napoleone alla collezione di cui prende il nome. Esposta dal 2021 nella sala Aldo Moro, è da mesi al centro di dibattiti tra studiosi e politici: celebrata, ridimensionata, restaurata ed esaminata. Leonardo muore nel 1519 ad Amboise e ha con sé la Gioconda originale. Quando e da chi è stata realizzata la tavola romana? Secondo Antonio Forcellino – architetto, scrittore e restauratore esperto in arte rinascimentale – «non si può escludere che il lavoro sia della prima metà del XVI secolo, coevo all’attività del maestro e della sua più stretta cerchia». Una replica agli studiosi che invece, basandosi sull’analisi dei pigmenti e in particolare del blu di smalto, spostano il lavoro almeno alla seconda metà del XVI secolo («la Lettura» del 12 giugno). «L’uso dello smaltino – afferma Forcellino – è molto frequente già a metà del ’400 nei dipinti di Giovanni Bellini e di altri pittori italiani, lo utilizza a fresco Raffaello e si rinviene nella Gioconda di Madrid come preparazione alle più preziose velature di azzurrite e lapislazzuli le cui tracce sono state rinvenute anche nella Gioconda Torlonia ». Altro indizio: «La riflettografia della Gioconda Torlonia mostra che l’anulare e il medio sinistro erano stati originariamente collocati in un’altra posizione, poi coperti. Così come l’indice. Si è visto inoltre che tra il primo e il secondo bracciolo ce n’era un terzo. Questi elementi fanno escludere che possa trattarsi di una copia successiva perché seguono Leonardo nei cambiamenti già bene individuati nell’opera del Louvre». In conclusione: «Se Leonardo abbia o no messo le mani sul dipinto come faceva sui quadri di bottega non lo sapremo mai, perché ognuno valuta il dipinto con la propria sensibilità e competenza». Ma bisogna considerare che la Torlonia, «con buona probabilità, deve identificarsi con la Gioconda celebrata a Roma già a metà ’600 nella collezione Dal Pozzo, una delle migliori della città come dimostrano i documenti rinvenuti da Maria Forcellino».