Corriere della Sera, 5 luglio 2022
Intervista a Giorgio Panariello
Nell’epoca del selfie come codice di rappresentazione dell’io, qual è la sua relazione con se stesso?
«Il fatto di rivedermi – con un selfie, per un video postato sui social – per me è una novità perché io sono della vecchia scuola di pensiero (e siamo in tanti): non mi riguardo mai. So che è un male, perché quando fai una trasmissione televisiva aiuta a capire dove hai sbagliato, dove puoi migliorare; ma io non ci riesco: io non mi sopporto, sono il peggiore fan di me stesso, sono super-autocritico. Ho fatto dei film da regista che a rivederli volevo uccidermi perché ne capivo la lentezza. Il problema è che in tv o al cinema quando fai una cosa, poi rimane lì: non la puoi cambiare».
Giorgio Panariello, lei ha costruito una carriera di tanti successi e pochi inciampi: la relazione con il pubblico è la sua soddisfazione più grande?
«Con il pubblico – quelli che vengono a vederti – è amore puro. Ma mi piace parlare anche della gente, quelli che incontri per strada. Il contatto con la gente mi fa capire ogni giorno che io devo fare quello che le persone vogliono che io faccia, non quello che a volte mi dicono di fare. In passato ho sbagliato nei loro confronti cercando di essere quello che non sono e che non posso essere solo per fare un favore alla critica o compiacere qualcuno».
Luogo delle relazioni virtuali e mediate: cosa non le piace dei social?
«Non mi piace che tanti li prendano come un parametro per tutto quello che fai. Ci sono persone importanti che lavorano in tv che danno troppo peso a quello che si dice sui social e chiedono: Ma Panariello quanti follower ha? Il mio lavoro è un altro».
TikTok non fa per lei?
«Devi fare lo sforzo di esserci senza snaturarti e senza essere compatito. Se mi dicono che la tendenza è quella di fare i balletti mentre in tv passano le immagini dell’Ucraina bombardata, ecco non credo che mettersi lì a ancheggiare sia la strada giusta».
Una relazione che l’ha fatta soffrire è quella con suo fratello che ha avuto problemi di droga...
«Era un ragazzino che ogni tanto veniva a casa e non sapevo chi fosse, perché nessuno voleva dirmi che avevo un fratello che avevano messo in collegio. Lo consideravo un amichetto che passava alle feste comandate. Poi crescendo mi sono fatto delle domande, veniva e spariva, finché mi dissero che era mio fratello e il rapporto cambiò anche se non capivo questa cosa di avere un fratello ogni tanto...».
Crescendo fu più doloroso perché subentrò la consapevolezza?
«Da ragazzino nemmeno pensavo che potesse soffrire. Lo vedevo diventare cattivo e arrabbiato, poi ho capito e ho cominciato a stare dalla sua parte, forse anche troppo in alcune occasioni. Abbiamo avuto un rapporto molto conflittuale, non riuscivo ad aiutare Franco, non riuscivo a dimostrargli che era giusto fare come facevo io e non come pensava lui: per anni l’ho considerato una zavorra perché io volevo crescere, spiccare il volo nel lavoro, ma avevo sempre questo pensiero, questo tormento, se rimaneva a casa con mio nonno. Avevo paura succedesse qualcosa, andavo via mal volentieri, lavoravo male. Quando la mia vita si è sistemata e mi sono sentito forte allora ero pronto, lui ha capito che avevo ragione. Perché non è una questione di soldi, puoi avere tutti quelli che vuoi... Dopo 30 anni si era finalmente deciso a farsi aiutare».
Quando lei è diventato popolare e famoso non ha avuto paura che cercassero Panariello e non Giorgio?
«Agli inizi è stato il cruccio più grosso, poi è diventata parte della mia vita. Quando diventi famoso arrivano parenti come funghi, gente mai vista in vita mia, roba dal Medioevo: sono il prozio del duca che aveva quel feudo in cui il tuo bisnonno faceva il contadino... Ma c’è anche l’atteggiamento contrario; torni al paese e vedi nella gente la diffidenza, aspettano di vedere se ti sei montato la testa».
Tra i suoi storici amici, Conti e Pieraccioni, chi si è montato di più la testa?
«Pieraccioni, in assoluto. Carlo è rimasto il Carlo di sempre. Leonardo invece passa davanti allo specchio e pensa: ma chi è questo così bello e così bravo? Ormai credo che chieda anche il pass per farti entrare in casa».