Corriere della Sera, 5 luglio 2022
Biografia di Marco e Gabriele Bianchi
Le grida di gioia degli amici di Willy le hanno appena coperte. Ma da dietro le sbarre, alla condanna di ergastolo si sono sentite, chiare, le urla di Marco e Gabriele Bianchi. Contro il «tradimento» del coimputato, Francesco Belleggia. Contro chi non ha creduto ai loro «non abbiamo fatto niente. Willy non lo abbiamo ucciso noi». Contro i presunti autori, come dice il difensore, di un «processo mediatico». E contro chi, dicono loro, li ha fatti apparire come «mostri».
Le urla hanno fatto immediatamente scattare la corsa degli agenti penitenziari in aula. Preoccupati che la tensione degenerasse due anni dopo quel pestaggio sanguinario che in 54 brutali secondi lasciò il 21enne senza vita e senza un organo intatto.
Palestrati, supertatuati e con una fama violenta e opaca che li precedeva, i fratelli Bianchi quella notte erano stati chiamati apposta. Per punire chi aveva osato intervenire in una lite e provare a sedarla. E, a sentire gli amici di Willy, succedeva spesso che venissero usati come una sorta di «servizio d’ordine» dell’arroganza criminale.
Erano arrivati a tutta velocità. Avevano frenato bruscamente. Parcheggiato. E si erano avventati proprio su quel ragazzo esile, insieme a Francesco Belleggia e Marco Piancarelli, massacrandolo.
Il processo
Hanno sempre negato, ma chi era presente quella notte li ha sempre smentiti
Furono «gli altri», dicono loro. «Nel buio» non si distingueva chi davvero colpì Willy, insiste il difensore. Ma le testimonianze sono univoche. Il primo a parlare in aula e dire cos’era successo la sera dell’omicidio è l’amico che era con Willy, Samuele Cenciarelli. Ieri era anche lui con gli amici stretti attorno a Lucia, la mamma della vittima. E ha contestato: «Io ero lì. Si vedeva che picchiavano tutti insieme. Usano la scusa dei lampioni spenti ma si stanno arrampicando sugli specchi».
Loro negano. Marco ammette di avergli dato solo un calcio al fianco sinistro e una spinta : «Ma si è subito rialzato». Gabriele accusa Belleggia: «Gli ha dato un calcio sul viso prendendo la rincorsa».
«Una vita accelerata», così un amico ha descritto la loro esistenza. Nelle conversazioni intercettate in carcere si scorge ancora l’arroganza e la violenza che le ha scandite. Racconta Marco Bianchi riferendosi all’ostilità manifestata dagli altri detenuti: «Poi mi sento chiamà la mattina… “’ao, a infame! A infame” Mannaggia.. ah infame! Mi hai spaccato il naso… il chiodo dentro al dentifricio… ogni cosa che succede, boooommm». E il fratello Gabriele lo avverte: «Devi stare attento, perché pure se dormi, quelli arrivano e ti zaccagnano». Lui però si mostra spavaldo:«Stai tranquillo, non vengono, sono mollicci».
Per comprendere meglio la personalità dei Bianchi ci sono anche le intercettazioni relative al nome del figlio di Gabriele. Il problema si pone dopo l’arresto. Manca poco al parto e lui ha deciso di chiamare il bebè Aureliano. Ne parla con la fidanzata e la madre che gli dice: «A lei tutti i nomi gli stanno bene ma quello no». Ed è la stessa fidanzata a spiegare il motivo: «Il 30 ottobre riesce la serie nuova di Suburra, si chiama: “Il ritorno di Aureliano”, non si può proprio chiama’. Vi contestano a voi proprio ogni cosa... lo stile di vita... di qua e di là, io vado a chiamà un figlio Aureliano? Lo so che non c’è niente di male, io, ma tu non ti rendi conto del fuori, Teso’. Cioè quello va a scuola, massacrato, appena arriva, teso’». Rilancia: «Leonardo, vuol dire forte come un leone». Ma lui non è disposto a cedere: «Non chiamate figlimo come un salame...aho, mi inc...zo come una bestia, eh».