il Fatto Quotidiano, 4 luglio 2022
C’è battaglione che non combatte né per Putin né per Zelensky ma solo per la libertà e proteggere i civili
Alcuni soldati delle forze di difesa ucraine combattono con la bandiera nera anarchica. “Ilya” non rivela mai la sua vera identità. Cambia continuamente pseudonimo e dà appuntamento alla stazione degli autobus di una cittadina a una quarantina di chilometri da Kiev.
“Vengo da uno dei due Paesi che confinano con l’Ucraina alla frontiera nord e est – spiega –. Sono dovuto fuggire tre anni fa a causa della repressione. Mi sono trasferito a Kiev per non ritrovarmi tagliato fuori dall’ex spazio sovietico. L’Ucraina è una buona base per combattere i regimi presenti a Minsk e Mosca”.
Ilya sostiene di non voler difendere “lo Stato borghese ucraino”, ma “le popolazioni civili che soffrono”. Desidera soprattutto “lottare contro l’imperialismo russo”. “Certe formazioni di sinistra condanno allo stesso modo la Russia e gli Stati Uniti, ma la questione è diversa per gli ucraini: per loro questa è una lotta all’ultimo sangue contro un invasore totalitario”. All’inizio del 2022, mentre Vladimir Putin ammassava le sue truppe a pochi chilometri dai confini ucraini, e ci era resi conto che l’ipotesi di un conflitto su larga scala era diventata plausibile, i movimenti anarchici e anti-autoritari ucraini hanno cominciato a organizzarsi. “Abbiamo costituito il Comitato di resistenza, un organismo che riunisce militanti di convinzioni diverse. Abbiamo deciso di raccogliere aiuti umanitari per le popolazioni civili, ma anche di arruolarci nelle unità militari ucraine. Abbiamo trovato un accordo il 24 febbraio all’una di notte e l’invasione è iniziata alle cinque del mattino – spiega Ilya –. Può sembrare strano per degli anarchici firmare un contratto con l’esercito, ma era la condizione per poter andare al fronte. Dovevamo essere visibili, per non lasciare tutto lo spazio alle unità di estrema destra, come quelle affiliate al gruppo Azov, anche se queste ultime sono state raggiunte da molti combattenti apolitici. Dovevamo diffondere le nostre idee sul fronte”.
In un manifesto pubblicato il 20 maggio scorso, il Comitato di resistenza rivendica la sua filiazione dalle comunità cosacche, con i movimenti contadini che per secoli hanno lottato contro la servitù e i signori feudali della Galizia storica, della Transcarpazia e Bucovina, e con i ribelli dell’Esercito insurrezionale rivoluzionario ucraino dell’anarchico Nestor Makhno, che prese le armi contro gli eserciti bianchi durante la guerra civile russa, tra il 1917 e il 1921, prima di venire tradito dai bolscevichi. Makhno riteneva che la vita politica dovesse basarsi sull’esistenza di associazioni liberamente costituite che corrispondessero “pienamente alla coscienza e alla volontà degli stessi lavoratori” e si opponessero ai kolchoz e alle requisizioni delle terre organizzate dai comunisti. Al suo apice, la Makhnovtchina poteva contare più di 100mila combattenti e controllava un territorio dove vivevano da due a tre milioni di persone, tra Zaporizhia e il mar Nero, fino al porto di Mariupol e intorno a Gulyaipolis, la città natale di Nestor Makhno, che oggi si trova sulla linea del fronte. Secondo il Comitato di resistenza, la guerra in Ucraina è quindi “la continuazione della lotta per la liberazione dei popoli da ogni autoritarismo”. I suoi membri chiedono misure sociali come la cancellazione del debito estero ucraino e l’introduzione delle cure mediche gratuite e dei sussidi sociali per le persone a basso reddito. Gli anarchici ucraini ritengono inoltre necessario che le popolazioni generalizzino la creazione di comitati locali di autodifesa, che hanno dimostrato la loro efficacia all’inizio del conflitto, e domandano allo Stato ucraino di distribuire più armi, come aveva fatto nei primi giorni della guerra. Chiedono inoltre la creazione di strutture femministe autonome in tutti gli organi municipali del Paese e militano per lo “sviluppo della responsabilità ecologica” e di “tecnologie ecologiche a misura d’uomo, pensate per rispondere ai bisogni delle comunità locali”.
Secondo le nostre fonti, tra 100 a 150 militanti anarchici e antifascisti appartenenti a diverse organizzazioni, come RevDia o Black Flag Ukraine, stanno attualmente combattendo nelle unità dell’esercito ucraino. Uno di questi soldati, Igor Wołochow, è stato ucciso a metà marzo in un bombardamento nei pressi di Kharkiv. Altri cinquanta circa sono arruolati in un’unità “antiautoritaria” della difesa territoriale, un corpo militare di riserva creato dopo l’invasione della Crimea nel 2014. “C’è una gerarchia nel nostro battaglione, come in tutte le altre unità dell’esercito ucraino – continua Ilya –. Ma da noi uno dei membri dell’unità viene nominato per trasmettere le critiche al comando, un altro per garantire la nostra comunicazione con l’esterno. Pratichiamo anche il teqmil, che alcuni di noi hanno imparato nelle unità curde, e che consiste nell’organizzare discussioni in cui si possono criticare gli altri e fare autocritica”. L’unità “antiautoritaria”, costituita dopo il 24 febbraio, alle prime ore dell’invasione russa, ha partecipato a operazioni di ricognizione durante l’avvicinamento delle forze russe alla capitale ucraina lo scorso marzo, poi a missioni di lotta contro i sabotaggi. Oggi aspetta di raggiungere il fronte. Riunisce militanti bielorussi, russi e ucraini, alcuni dei quali hanno già fatto l’esperienza della guerra.
Tra loro ci sono anche gli hooligans dell’Arsenal Kiev, di cui si era parlato molto nella metà degli anni 2000 per le risse contro i tifosi di estrema destra del Dynamo Kiev. Oggi combattono con gli anarchici. “Cinque giorni dopo l’inizio dell’invasione, abbiamo lanciato un appello ai nostri compagni d’Europa occidentale perché sostengano gli uomini che combattono sul fronte e le popolazioni che vivono nelle zone di guerra”, spiega a sua volta Sergey, un militante antifascista di Kiev. “Abbiamo creato una rete chiamata “Operazione Solidarietà”, recentemente ribattezzata “Collettivi di solidarietà”, per organizzare delle catene logistiche dall’ovest del Continente. Dei compagni polacchi stanno raccogliendo aiuti nella regione di Rzeszów, nel sud-est del Paese. Abbiamo altri due siti di stoccaggio a Leopoli e a Kiev. Attrezzature, cibo e medicine vengono distribuiti all’interno delle varie unità e nelle zone dove la popolazione ha più bisogno, come nella regione di Ernihiv”. La federazione anarchica tedesca dei Blacks Cross Dresden spiegava il 15 maggio di aver raccolto 217.400 euro, organizzato diversi convogli per l’Ucraina e consegnato veicoli e droni. “Lo Stato ucraino è completamente corrotto, ma esistono degli spazi di libertà al suo interno, perché gli oligarchi che si contendono il potere non possono controllare tutto. La Russia non propone nessuna società alternativa, perché vuole semplicemente annientare gli ucraini. Sappiamo cosa significava l’occupazione russa, conosciamo le sue atrocità, gli omicidi –, continua Sergey –. Alcuni compagni dei Paesi occidentali ci spiegano che gli anarchici russi e ucraini dovrebbero rivolgere le loro armi verso i loro rispettivi governi. Invito tutti a venire in Ucraina perché si rendano conto della situazione”. Alcune correnti anarchiche europee hanno preferito adottare una posizione più prudente rispetto ai compagni ucraini, lanciando semplicemente appelli alla fine delle ostilità. Altri preferiscono inviare in Ucraina solo aiuti umanitari ed evitano le attrezzature militari. “Usare le armi statunitensi non significa diventare i burattini di Washington, così come rifiutare l’imperialismo statunitense non vuol dire sostenere dittatori come Bashar al-Assad o Vladimir Putin. Se sei pacifista, devi combattere al fianco degli ucraini”, conclude Sergey. A mano a mano che i morti si moltiplicano nel Donbass – di recente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato di “diverse centinaia di morti al giorno” –, le autorità ucraine non hanno altra scelta che affidarsi alle forze a loro disposizione. E quindi usare le armi consegnate da Washington, come fanno i battaglioni anarchici.