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 2022  luglio 04 Lunedì calendario

Intervista a Dino Zoff

Una parata da Oscar. Il gesto tecnico più importante del trionfo dell’Italia nel mondiale 1982 fu la parata di Dino Zoff, capitano e portavoce degli azzurri, sul colpo di testa del difensore del Brasile, a pochi minuti dal termine, sul 3-2 per la nostra nazionale. Il 3-3 avrebbe condannato la squadra di Enzo Bearzot all’eliminazione.
Sliding doors di quel 5 luglio 1982: che cosa sarebbe accaduto se Zoff non avesse bloccato sulla linea la capocciata di Oscar?
«Un episodio può cambiare la storia, non è una novità. Chi nuota può vincere o perdere per un millesimo di secondo. Nel nostro caso, si sarebbe tornati alle polemiche della prima fase e Bearzot sarebbe stato massacrato».
Possiamo dire che è stato il gesto tecnico più importante di quel mondiale?
«È stato un momento determinante di una partita decisiva, ma non spetta a me a fare valutazioni di merito».
Condivide l’opinione che la conquista del mondiale cambiò la storia dell’Italia?
«Quell’impresa fu un momento di gloria calcistica. Poi sicuramente portò la gente per strada per ragioni ben diverse rispetto a quelle del decennio precedente, aiutando il nostro paese a tutti i livelli, soprattutto per le modalità di quella vittoria, ma ho sempre cercato di tenere separati i piani dello sport e della politica».
È vero che sull’aereo che riportò l’Italia a Roma il presidente Sandro Pertini disse: Non immaginate quanto sia stata importante la vostra vittoria?
«Non ricordo di aver sentito questa frase, ma non la escludo. Ricordo invece la partita a scopone».
Chi ebbe l’idea?
«Il presidente. Ci chiese quali fossero i nostri passatempi nei ritiri e venne fuori lo scopone».
Vinse la coppia Bearzot-Causio e il presidente si arrabbiò.
«A carte non vuoi mai perdere».
Siamo in pieno clima di celebrazioni di quel mondiale: c’è ancora qualcosa che rimane tra le pagine chiare e le pagine scure?
«Mi dispiace che l’artefice principale di quell’impresa non abbia ricevuto gli onori che avrebbe meritato».
Perché Bearzot non riscosse il credito che gli spettava?
«Il generale che vince la guerra quando torna a casa conosce gli uomini».
Chi era Bearzot?
«Un uomo di un’onesta e di una integrità feroci. Faceva le cose con determinazione unica».
Le celebrazioni di questo quarantennale stanno riscuotendo un enorme interesse: ci aggrappiamo al passato per dimenticare l’amarezza del presente e la seconda eliminazione di fila al mondiale?
«Penso che questa rievocazione sia figlia soprattutto del clamore di quell’impresa. Un successo straordinario dopo le critiche pesanti della prima fase».
Un uomo silenzioso come Zoff ricoprì il ruolo di portavoce durante il silenzio stampa.
«Ero il capitano e il giocatore più anziano. Una responsabilità dovuta».
Qualcosa di non detto su quel mondiale?
«Credo che tutti abbiano espresso la propria opinione. E io non sono così intelligente da cambiare idea».
I ricordi di Spagna 1982?
«Conservati in una stanza-museo che un amico, scomparso un mese fa, ha creato nella mia casa di Mariano nel Friuli».
Che cosa accadde nel suo paese la sera dell’11 luglio quando l’Italia vinse il mondiale?
«La gente si radunò di fronte all’ingresso di casa e mio padre Mario aprì la cantina. In quei giorni se ne andarono cinque ettolitri di vino».
Una foto alla quale è particolarmente affezionato?
«Quella in cui i compagni mi portano in spalla e io sollevo la coppa».
Bearzot, Zoff e il Friuli terra di frontiera: forse anche la geografia ha creato un enorme rispetto per la maglia.
«Mio padre nacque nel 1912, quando era ancora impero Austro-Ungarico. Poi divenne Italia, ma dopo la Seconda guerra mondiale, il Friuli fu conteso dalla Jugoslavia che voleva farne la nona provincia. Una storia come questa crea un rapporto speciale con la maglia che indossi».
Le parole o una frase di quei giorni?
«Mario Soldati mi definì un cavaliere dell’Ottocento».