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 2022  luglio 04 Lunedì calendario

Antico Egitto, l’universo è un giardino

L’Egitto è il dono del Nilo, così lo definì Erodoto nel V secolo a.C. Questa grande arteria fluviale, con le sue inondazioni, ha determinato per millenni, prima della costruzione della diga di Asswan, il susseguirsi delle stagioni e la pianificazione dell’attività agraria e della vita economica del paese. La ciclicità dei fenomeni naturali ha fornito agli Egiziani il senso del tempo, della caducità, della storia. Ma come ha avuto inizio il tutto? I teologi si interrogarono per secoli su come la varietà della natura potesse essere messa in relazione con il suo creatore.
Testi cosmogonici illustrano il momento in cui le acque cominciarono a ritirarsi. All’inizio vi era solo oscurità, uno spazio infinito e le acque ricoprivano tutto, senza confini. Questo oceano primordiale veniva chiamato, in egiziano antico,Nun .Nei testi delle Piramidi (PT 1466) e nei Testi dei Sarcofagi (CT 261) leggiamo: «Prima che ci fosse il cielo, prima che ci fosse la terra, prima che ci fossero gli uomini, prima che gli dei nascessero, prima che ci fosse la morte, esisteva ilNun». Ma improvvisamente, nel mezzo delle acque infinite emerse una collinetta di sabbia, dove il dio creatore (che si era autogenerato) trovò posto e prendendo la forma del sole all’alba scacciò le tenebre e, passo dopo passo, creò il mondo e l’ordine divino. Nei testi egizi vi sono moltissimi riferimenti alla creazione dove si afferma che qualcosa esiste dalla “prima volta” (sep tepi )o è ritornato nel suo stato originario.
Nella concezione dell’ordine cosmico che gli antichi abitanti della valle del Nilo avevano, la creazione è l’unico vero cambiamento che mai si sia manifestato e che ha reso possibile la pienezza della realtà derivata dal non essere ed ha al contempo fatto nascere l’ordine dal caos. Fu l’inizio dell’esistenza ciclica, ordinata, che da quel momento in poi avrebbe determinato il ritmo della vita dell’universo,con i movimenti delle stelle e dei pianeti, l’alternanza del giorno e della notte, di inondazioni e siccità, la sequenza degli anni.
E in questo il Nilo e l’Egitto assumevano nella concezione dei suoi abitanti un ruolo particolare, diverso da quello di tutti gli altri paesi. La vita nella valle nilotica divenne il modello per immaginare come potesse essere l’esistenza dopo la morte. Già nell’Antico Regno, nei Testi delle Piramidi leggiamo che nel cielo esistono campi di giunchi in un’isola che il sovrano deve attraversare per purificarsi, prima di prendere posto nella barca dove si trova il dio sole e divenire quindi egli stesso parte della natura e dell’universo.
I testi funerari del Nuovo Regno ed in particolar modo ilLibro dei Morti ci descrivono come gli Egiziani si aspettassero di raggiungere i Campi di Iaru, una specie di paradiso che veniva descritto come una terra d’Egitto soprannaturale, irrigata dal Nilo, con campi fertili, ricchi di grano, frutta, inframezzati da canali. Nel capitolo 109 del Libro dei Morti troviamo una descrizione di questi Campi Elisi: «Conosco il canneto di Ra. Il muro che lo circonda è di metallo. L’altezza dell’orzo del Basso Egitto è di 4 cubiti, la spiga un cubito ed il gambo 4, il grano è alto 7 cubiti. I defunti provvedono alla mietitura assieme aiba (anime) orientali». In alcuni manoscritti del Libro dei Morti nel capitolo 110 ci sono delle vignette che illustrano iconograficamente questa descrizione.
Il più grande desiderio degli Egiziani era di uscire di giorno dopo la morte. Nella tomba rimaneva l’anima (ba )nella mummia, ma questa poteva anche volare in cielo o scendere nell’Aldilà. Nei capitoli 76-88 delLibro dei Morti troviamo la richiesta da parte dell’anima di lasciare il regno dei morti e di tornare a casa per poter rivedere la famiglia e prendersi cura dei parenti, per partecipare alla festa in onore di una divinità ed infine per poter andare in giardino e goderne la bellezza. Il ba poteva così riposare all’ombra di un sicomoro e bere acqua da uno stagno.
Testi e scene dipinte nelle tombe del Nuovo Regno ci forniscono una vivida rappresentazione di questi giardini con un laghetto nel mezzo. Nelle pareti delle tombe di Minnacht (Tomba Tebana, TT, nr. 87) e di Rechmire (TT 100), entrambe databili al regno di Tuthmosis III e Amenhotep II (1479-1401 a.C.), sono raffigurati splendidi giardini che si sviluppano attorno a uno specchio d’acqua con file di palme, alberi di sicomoro, piante da frutto, cespugli di papiro, fiori di loto.
Questi giardini con un laghetto al centro rappresentano un luogo perfetto, dove vi è abbondanza di cibo, e diventano, quindi, una specie di paradiso terrestre finendo sempre più per assomigliare aicampi di Iaru. Nelle rappresentazioni delle tombe ramessidi (1307-1070 a.C.) diventa difficile distinguere fra i giardini terreni e quelli dell’aldilà. Molto interessante è un testo antico, scoperto recentemente, che menziona un terreno nelle vicinanze di Menfi con corsi d’acqua e giardini, chiamato anch’esso Sechet Iaru (Campi di Iaru). Ulteriore conferma che per gli Egizi, queste oasi di verde fossero, nel pensiero comune, luoghi abitati non solo dai viventi ma frequentati anche dalle anime dei defunti, per trarre sollievo all’ombra degli alberi. La mitologia ci racconta che il fruscio delle foglie è un’attestazione della presenza dello spirito dei defunti. Lo storico greco Diodoro Siculo, nel I secolo a.C., dimostra di essere a conoscenza di tale credenza e scrive che le anime avevano la loro dimora nella vicinanza di Menfi dove si trovavano prati spettacolari, specchi d’acqua, alberi lussureggianti e fiori di loto.