la Repubblica, 4 luglio 2022
Il clima malato divora i ghiacciai
«Capiterà ancora», dice tranchant Roberto Colucci, glaciologo del Cnr. Tre anni fa, a conclusione di anni di studio sulla Marmolada, il suo verdetto fu: « Il destino è comunque segnato anche se le temperature restassero come sono: 25-30 anni e non ci sarà più». Ieri sera, negli occhi la valanga che ha travolto e ucciso, si spinge ben oltre: «A questa velocità probabilmente ci arriveremo prima. E la proiezione più generale, al 2100, dice che nella migliore delle ipotesi perderemo il 70% dei ghiacciai alpini, nella peggiore il 96%. Sotto i 3.500 metri invece nel giro di vent’anni non ci sarà più niente perché i ghiacciai come la Marmolada sono ormai in totale disequilibrio».
Dieci gradi a 3.000 metri è una temperatura ormai non più eccezionale, acceleratore di un processo ormai irreversibile (in Italia come nel resto del mondo) che alla fine del primo secolo del secondo millennio vedrà i ghiacciai ridotti dell’80%. Il nuovo catasto dei ghiacciai italiani, elaborato dal gruppo guidato dal professor Carlo Smiraglia, ordinario di Geografia fisica e geomorfologia all’Università di Milano, che ha aggiornato nel 2015 l’ultima fotografia risalente agli anni ‘60, conta 903 corpi glaciali in Italia, 369 chilometri quadrati di superficie, con una riduzione notevolissima (-30%) negli ultimi 60 anni, alla velocità media di tre chilometri quadrati all’anno. A fronte di centinaia di piccoli e medi corpi glaciali frammentati in sei regioni, sono solo tre i ghiacciai che in Italia superano ancora i dieci chilometri di superficie: l’Adamello (il più grande di tutti), che si è ridotto del 22%, il Miage e il Forni, l’unico ghiacciaio di tipo “himalayano” in Italia, che perde ogni anno dai 30 ai 50 metri.
La tragedia di ieri sulla Marmolada è certamente una conseguenzadei cambiamenti climatici: l’innalzamento delle temperature in vetta provoca lo scioglimento dei ghiacci, con una grossa quantità di acqua liquida da fusione glaciale che scorre sotto, a contatto con la superficie rocciosa che viene lubrificata e destabilizzata. «Quello che è successo sulla Marmolada — dice il glaciologo veneto Anselmo Cagnati — è un campanellod’allarme rispetto a quello che potrebbe succedere in scenari più grandi, sulle Alpi Occidentali». Una situazione di estrema fragilità per la montagna e di grande pericolo per chi la frequenta, come sottolinea anche Reinhold Messner. «Con il caldo globale — dice l’alpinista altoatesino — i ghiacciai sono sempre più sottili e, quando cadono, vengono giù pezzi grandi come grattacieli. Ormai accade ogni giorno e il pericolo sotto i seracchi aumenta. Un alpinista bravo, però, non va sotto un seracco in questo periodo: l’arte dell’alpinismo sta nel non morire in una zona dove questa possibilità esiste».
Cambiano le temperature e cambiano i colori: paesaggi di verde e nero guadagnano chilometri di montagne dove il bianco della neve e del ghiaccio recede sempre di più. La Valle d’Aosta, che ha un terzo della superficie glaciale d’Italia, ha perso 32 ghiacciai negli ultimi vent’anni. E le conseguenze si vedranno tutte a livello di dissesto idrogeologico, di s iccità e di anche di produzione di energia. «Quando non ci saranno più ghiacciai sulle Alpi verrà meno, ovviamente, l’apporto d’acqua ai fiumi. La stima è che al Po — spiega ancora Colucci — verrà meno un ulteriore 20/30% di acqua. Fatevi un po’ i conti». In sofferenza andranno anche le centrali idroelettriche: secondo uno studio di Università Statale e Politecnico di Milano, il 20% dell’acqua che le alimenta arriva dai ghiacciai, dunque si ridurrà anche la loro capacità produttiva.