Avvenire, 3 luglio 2022
Il ritorno dei chelnoki, ossia le «navette» della perestroika
In una Russia che sa sempre più di anni Novanta, mancava solo che tornassero loro, i chelnoki, ossia le «navette». Venditori che, negli anni della perestroika e del collasso dell’Unione Sovietica, procuravano merci dall’estero, trasportandole nel Paese. La differenza principale, è che 30 anni fa i russi compravano prodotti che vedevano solo in sogno. Oggi sono costretti ad acquistare tutto ciò che era diventato realtà a portata di mano perché nel loro Paese non si trova più a causa delle sanzioni. Rinato a febbraio, subito dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina, il fenomeno è letteralmente esploso e adesso sui marketplace sulla rete è pieno di inserzioni di chelnoki 4.0. Ci stanno provando anche piccoli operatori logistici e società di spedizione, perché il business è in espansione e parecchio redditizio, ma loro rischiano di incappare più facilmente nei controlli delle autorità. I privati hanno praticamente campo libero e, giudicando dalla quantità di inserzioni, si direbbe che di lavoro ne hanno parecchio.
L’usanza è sempre la stessa ma i tempi sono cambiati, e se prima avveniva tutto de visu, adesso a fare da schermo fra l’acquirente e il mediatore c’è Internet, con tutte le sue potenzialità, anche quando si tratta di prendere qualche fregatura. Le navette del terzo millennio, per la maggior parte sono russi che vivono all’estero. Raccolgono gli ordini dei clienti e poi o spediscono la merce direttamente oppure la fanno entrare nel Paese con uno spedizioniere. Una minoranza si reca personalmente all’estero con il proprio minivan, senza però rivelare come riesca ad aggirare i controlli alle dogane. Dopo appena quattro mesi di guerra è possibile compilare un vero e proprio “atlante delle consegne”. Dalla Turchia arriva soprattutto abbigliamento fast fashion, quindi brand non troppo costosi, amati soprattutto dai giovanissimi, come Zara, H& M, Koton. Dalla Bielorussia, che ha il vantaggio di avere maggiore facilità a fare entrare, arrivano medicine e oggetti dell’Ikea. Dalla Polonia, i pezzi di ricambio delle auto che altrimenti i russi rischiano seriamente di non poter più utilizzare, ripiegando su modelli prodotti nazionalmente, anche questi di sovietica memoria. La vera sorpresa è rappresentata dai beni di lusso come scarpe e abiti delle più grandi griffe internazionali, orologi e gioielli. Questi arrivano da Kazakhstan e Kirgizistan che, come Paesi appartenenti Csi, possono spedire in Russia con tutta una serie di facilitazioni doganali che mettono al riparo da controlli.
Non è tutto oro quello che luccica. Molti sono venditori improvvisati. Chi acquista non ha diritto né al reso né al cambio del prodotto, quindi prima di comprare qualcosa conviene pensarci due volte o assicurarsi che l’intermediario sia disposto a fornire anche servizi accessori, come l’invio di foto del prodotto prima di spedirlo. Certo, è bene essere molto convinti prima di comprare qualcosa. Oltre al prezzo dell’oggetto dei desideri, che è ovviamente più alto rispetto a quello che lo si sarebbe pagato in Russia prima del 24 febbraio, e della spedizione, va calcolata anche una commissione che può andare dal 10 al 30% del totale. I pagamenti il più delle volte avvengono in rubli, su una carta ricaricabile e chiedono un anticipo dal 30% al 100% della cifra totale. L’affidabilità del venditore è garantita dalle recensioni presenti sotto le inserzioni. Oppure si può andare sui social russi, primo fra tutto VKontakte, dove sono nati decine di gruppi che denunciano frodi e venditori non particolarmente esperti. Scene da una Russia sempre più isolata, divisa fra chi non vuole fare l’abitudine alla nuova quotidianità e chi cerca di approfittarsene in tutti i modi