la Repubblica, 3 luglio 2022
Un colloquio con la scrittrice canadese Anne Carson
La bellezza del marito , libro capolavoro di Anne Carson, pubblicato in Italia dalle edizioni La Tartaruga, è un tango in versi che narra un amore come tanti, da Omero ai nostri giorni, dai miti antichi a Keats: una moglie tradita, un marito menzognero e seduttore, un amico che entra per dare un angolo alla storia e renderla teatrale. Il sottotitolo è “Un saggio romanzato in 29 tanghi”. Poesia, filosofia, musica. Un pastiche che diverte e ferisce: «Ho scelto di usare il termine tango - spiega Anne Carson aRepubblica - perché ammiro il modo in cui una forma di danza che segue schemi fissi può imporre la sua struttura ai corpi umani e alle nostre intenzioni; lo schema è stabilito; possiamo solo danzarlo fino alla fine».
Abbiamo contattato via mail la scrittrice, consapevoli che davvero raramente concede interviste. «Ogni amore romantico è un tango », ci scrive lasciando l’affermazione oracolare sospesa. Carson centellina apparizioni e parole. Su YouTube circolano però alcuni suoi reading poetici e vale la pena. Insistiamo, aggiunge: «Un tango in cui convivono l’amore e l’odio ». Finisce in una cucina buia, tra lacrime e accuse.
Anne Carson è una classicista, poetessa, romanziera, dalla creatività sbrigliata e nello stesso tempo piena di un pudore immacolato che nei suoi versi si trasforma in un inconfondibile tono satirico, vissuto come uno scudo protettivo: «Ho paura che quel registro mi venga naturale. Senza dubbio è una difesa». Ci racconta di affidarsi più alle circostanze che ai progetti: «Se vuole sapere come scelgo i miei temi posso solo dire che sono incontri casuali. Non seguo agende ma mi metto al lavoro quando ho un’idea e solo raramente in modo metodico».
Tra i suoi numi tutelari ci sono Byron e Keats, che è il custode di ogni capitolo della Bellezza del marito ,ne è quasi quasi un controcanto. Su Byron si schermisce e quando ne accenniamo come a un possibile modello prima svia, «essere avvicinata a lui è lusinghiero », ma poi confessa: «Il suo Don Giovanni è uno dei libri più divertenti mai scritti, anche se è un pasticcio». Accenna poi a Keats, citando al volo un verso, il più popolare, dall’ Ode su un’urna greca : «È stato Keats a dire in origine che “bellezza è verità, verità è bellezza”, che è anche la premessa di questo libro».
In effetti qui la bellezza è il motore dell’infatuazione. Nelle prime pagine la moglie confessa: «Bellezza. Non è un gran segreto.Non mi vergogno a dire che è / per via della sua bellezza che io l’ho amato». E subito dopo, audace: «La bellezza rende il sesso sesso ». Qui ci sarebbe da soffermarsi sul concetto di bellezza per Carson ma le regole dell’intervista rendono difficile un altro giro di mail. Qualcosa però immaginiamo, visto che l’altra sua opera geniale e anarchica, Autobiografia del rosso , ripubblicata un paio di anni fa da La nave di Teseo, narra la storia del mostro alato Gerione e dell’amore con Ercole passando dai frammenti di Stesicoro a una stazione di autobus del New Mexico. La mostruosità come condizione comune, quasi affettiva: «Sono sicura che quasi tutti pensano diessere segretamente dei mostri». Carson crea in continuazione cortocircuiti tra il passato e il presente, il mito e la quotidianità, perché è così che funziona il suo modo di elaborare la conoscenza e la vita: «Mi piace pensare attraverso l’analogia», risponde.
La storia è naturalmente un serbatoio da cui attingere e la guerra amorosa tra un marito e una moglie si trasferisce nelle battaglie epiche, da Ettore alla campagna russa sanguinosa di Napoleone a Borodino, il che, ci spiega, non deve sorprendere perché «il marito è un appassionato di giochi di guerra».
Avrete capito che è puro jazz, un continuo gioco di rimandi tra regole e improvvisazione: «Cerco sempre di sorprendere me stessa », dice quando le chiediamo ragione di accostamenti inusuali. La bellezza del marito scandisce in più tempi una storia d’amore: innamoramento e seduzione, matrimonio, tradimento, delusione, rabbia, fine dei giochi. Un gioco di potere, vince chi mente: «Mio marito mentiva su tutto… / Mentiva quando sapeva che le altre sapevano che stava mentendo. / Mentiva quando spezzava loro il cuore. / Il mio cuore. Il suo cuore…».
Proviamo ad accennare al Nobel, ma Carson non ne vuole parlare. Il suo nome negli ultimi anni è tra quelli più papabili. Quel premio significherebbe qualcosa per lei?: «No».
Vorremmo sapere di più della sua biografia: «Vengo da una famiglia tranquilla. Vivevamo nel nord e nevicava spesso». Quello che c’è da dire, lo affida ai libri. Ha raccontato l’Alzheimer del padre in un testo sublime e inafferrabile come Antropologia dell’acqua , dove scivola senza attrito tra letteratura e diario di viaggio, rievocando il suo pellegrinaggio verso Compostela per lenire il dolore. Un cammino che si trasforma in un’immersione nei misteri del linguaggio.
Carson è anche una traduttrice, la sua attenzione alle sfumature linguistiche è sottile. Qui è più generosa: «Suppongo che il mio lavoro con le traduzioni abbia influenzato la mia scrittura. In un certo senso, ogni atto espressivo è una sorta di traduzione – dall’idea nella mente all’opera d’arte». La sua passione, ricorda infine conRepubblica , è nata grazie a un incontro ai tempi delle scuole superiori: «La mia carriera di classicista è iniziata per caso. Quando la mia insegnante di latino al liceo scoprì che ero interessata al greco antico (che non era previsto nel programma della scuola), si offrì di insegnarmi a leggere Saffo durante la pausa pranzo».