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 2022  luglio 03 Domenica calendario

Il caro vita si mangia una mensilità

Un mese di stipendio in meno. È l’effetto dell’inflazione, una “tassa” che molti definiscono occulta, ma nei bilanci delle famiglie sta diventando sempre più evidente. Mentre i salari restano fermi infatti, in Italia non crescono da 30 anni, il caro-prezzi ha raggiunto a giugno livelli che non si vedevano dal 1986, quando ancora esisteva la scala mobile. E così in appena sei mesi, da gennaio a oggi, una coppia con uno o due figli minorenni a carico ha perso, a parità di stipendio, 1.240,8 euro di potere d’acquisto. Una mensilità, appunto.
A fare il conto è la Uil, che precisa che i bonus stanziati dal governo per fronteggiare l’emergenza hanno attenuato il colpo, ma solo in parte. Grazie infatti all’indennità di 200 euro (che però al momento è una tantum) e ai contributi per sgonfiare le bollette, la stessa famiglia con due figli ha recuperato un po’ più di 700 euro. Significa che la perdita di potere d’acquisto ammonta comunque ad almeno 505,94 euro. E il dato non tiene neppure conto dell’ultimo salto dell’inflazione, che a giugno ha raggiunto l’8%. Per altri tipo di famiglia l’impatto è anche superiore: per esempio una coppia con figli adulti, che arriva a un’erosione di 1507,87 euro del potere d’acquisto nel primo semestre, con i bonus recupera solo poco più della metà.
Cifre da allarme, che pesano soprattutto sui bilanci dei nuclei medio-bassi. E infatti sono già in atto strategie di difesa che arrivano persino al taglio degli acquisti di cibo: secondo l’indagine di Federdistribuzione, condotta da Ipsos, nel secondo trimestre di quest’anno si registra un aumento di appena lo 0,4% della spesa per consumi alimentari in valore, nonostante l’inflazione. Significa che c’è almeno un 3% di perdita delle quantità acquistate: si compra di meno, si va di più al discount, si scartano i prodotti più costosi. Da un’altra indagine targata Ipsos, stavolta per Legacoop, emerge infatti che gli italiani hanno tagliato del 52% gli acquisti di prodotti di marca, anche se non rinunciano ancora a quello che si ritiene sia di qualità e a prezzo abbordabile, cresce infatti l’acquisto di prodotti a chilometro zero.
Non si taglia solo sul cibo, ovviamente: quattro italiani su dieci affermano di essere costretti a ridurre i consumi, con particolare riferimento all’abbigliamento, ai cosmetici e alle scarpe. Spendere di meno però non basta, intanto perché oltre la metà degli italiani non riesce più a risparmiare, e poi perché comunque rimangono da pagare le rate del mutuo, quelle dei finanziamenti personali, gli affitti. Il tasso di difficoltà per ognuna di queste spese obbligate, rispetto all’iniziodell’anno, è aumentato in media di dieci punti. Peggiore la situazione dei giovani tra i 18 e i 30 anni: i tre quarti dichiarano di avere difficoltà a pagare l’affitto, percentuali simili si ritrovano tra i bassi redditi del Mezzogiorno.
Situazioni da tenere sotto controllo non solo perché l’inflazione aumenterà sicuramente nei prossimi mesi, a meno che non arretrino le cause che l’hanno innestata, tra cui la guerra in Ucraina, il caro materie prime e la siccità, ma anche perché i redditi delle famiglie sono minacciati dalle difficoltà delle imprese.
Dal Monitor Lavoro elaborato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro emerge una preoccupante tendenza all’aumento del lavoro povero nei prossimi sei mesi, soprattutto nel Centro e Sud Italia: in crescita sottoccupazione, precarietà e basse retribuzioni.
Anche a stipendio pieno e regolare, sono comunque gli operai a pagare di più il caro-prezzi: già l’anno scorso, quando il fenomeno inflattivo era appena agli inizi, hanno perso 1.250 euro di potere d’acquisto, mentre le altre categorie di lavoratori dipendenti e cioè dirigenti, quadri e impiegati, hanno tutti guadagnato.