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 2022  luglio 03 Domenica calendario

Che fine ha fatto Stefano Cavedoni degli Skiantos

Nell’intro del brano Eptadone gli Skiantos rimescolano frasi dello slang giovanile bolognese - Ci hai delle storie? Ci ho delle storie pese. Ma che viaggi ti fai? Sbarbo, sono in para dura -, un po’ come faceva nei suoi fumetti Andrea Pazienza, non per caso amicone del cantante del gruppo, Roberto "freak" Antoni. Veleggiando sul Movimento del Settantasette a Bologna, si misero a sfottere tic e cliché di quella strana generazione inventandosi persino un genere, il rock demenziale. In quel periodo il Movimento si prendeva molto sul serio e certe ironie come quelle su Autonomia operaia nel pezzo Sono un autonomo (spacco l’autodromo, brucio il velodromo) potevano urtare e urtarono la suscettibilità degli interessati, che reagirono alla loro maniera: «A un concerto ci lanciarono dei bulloni di ferro», ricorda Stefano "sbarbo" Cavedoni, che non sapendo suonare saliva sul palco brandendo una scopa a mo’ di chitarra. Puro stile Skiantos, le cui provocazioni dal vivo erano fatte apposta per far volare gli ortaggi, quelli che tiravano loro sul pubblico e quelli che si presero a un famoso "Bologna Rock" nel 1979 quando, anziché suonare, si misero a cuocere pastasciutta sul palco: «La gente presente al palasport di Bologna si incazzò moltissimo e ci tirò di tutto, l’azienda del service dell’impianto, più incazzata di loro, voleva farci pagare le spese delle pulizie». Non piacevano ai compagni e piacevano ancora meno alle forze dell’ordine, in un periodo in cui la morte di Lorusso e la rivolta che ne seguì nel marzo del 1977 erano ancora molto fresche: «Quando suonammo Karabigniere blues due carabinieri di servizio al concerto andarono da Freak, volevano arrestarlo per vilipendio perché credevano che la parola "blues" nascondesse un insulto all’Arma...».
Il non sense e lo humour demenziale c’erano allora e ci sono anche oggi che Freak non c’è più, dal 12 febbraio del 2014, così il nostro "sbarbo" - termine che da fine Anni 70, dopo il successo delle Sbarbine, divenne un modo corrente di chiamare ragazzi e ragazze a Bologna - continua a coltivare la stessa passione: ha infatti fondato "Lardo ai giovani, onda d’urto demenziale", sigla di band accomunate dallo stesso immaginario: «Siamo all’opposizione di questa tendenza al successo che sta opprimendo le giovani menti».
Impossibile non ricordare Freak Antoni che invece, con ben scarsa consapevolezza della sua importanza, la sua Bologna sembra aver dimenticato, replicando schemi vecchi di quarant’anni: «Le istituzioni bolognesi ragionano in modo partitico e lo stile di pensiero è quello del vecchio Pci. Il partito qui ha la tendenza a musealizzare le cose, mentre Freak andrebbe ricordato con iniziative rivolte ai mondi giovanili. Si potrebbero far vedere le sue interviste e incoraggiare l’ironia».
Il cuore di "sbarbo" Cavedoni batte ancora per la sua antica passione, il teatro che lasciò per unirsi a Freak Antoni, con cui condivideva gli "studi" al Dams: «Un giorno Freak mi dice "facciamo una band", ma nessuno sapeva suonare, allora ho chiamato Dandy Bestia e Andy Bellachioma». Erano tempi di rivolta, in piazza Verdi, cuore della zona studentesca, giravano le pistole: «Un mio amico è finito in galera per molti anni per la questione del carabiniere ucciso ad Argelato, e questo succedeva ancora prima del Settantasette». La risposta degli Skiantos era affidata come sempre alla demenza: Sono un ribelle mamma, e ogni velleità rivoluzionaria venne seppellita dalla fatidica risata.
Ma un altro nemico molto più subdolo andava rivelandosi: l’eroina si infilò nel Movimento e gli Skiantos non furono risparmiati: «La band era divisa fra chi si faceva pesantemente e chi no, creando una dinamica di relazione disuguale, mettendo fine al rapporto fra pari e anche all’amicizia». Lasciati gli Skiantos, Cavedoni tornò al teatro per poi divenire «il primo autore italiano di guide per Lonely Planet». L’ironia invece è rimasta, lo dice la foto di questa pagina in cui strimpella una scopa collegata cou un cavo a un amplificatore vero.